Il presente non basta. La lezione di latino

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Il latino è una lingua durabilis in aeternitatem.                                   Leibniz

         Ivano Dionigi, il filologo classico e autore del bel libro Il presente non basta. La lezione del latino (Editore Mondadori), nella prefazione si pone tre domande. Come mai nell’epoca della comunicazione di massa e digitale la reciproca comprensione è così difficile? Come mai insistiamo a credere che il presente si riduca alla novità e che la novità di identifichi con la verità? Come mai le parole di illustri scrittori, come  Lucrezio, Cicerone, Seneca, Agostino, continuano a colpire la mente e a curare l’anima?  

Il latino è stato la lingua della cultura non solo del popolo romano, ma dell’intera Europa che ha parlato per diversi secoli attraverso la politica, la religione e la scienza; è stato un tramite linguistico tra Atene e Gerusalemme, tra la cultura greca e quella ebraica. Questa lingua, secondo il filosofo tedesco Leibniz, citato in esergo, ha una durata eterna, ci ha lasciato una triplice eredità storica culturalmente ricca: il primato della parola; la centralità del tempo; la nobiltà della politica.

Nel corso dei secoli il latino, per pregiudizio ideologico, è stato oggetto di discussione tra conservatori e innovatori, è stato liquidato perché considerato una lingua elitaria, conservatrice e al servizio del potere oppure difeso perché utile a “conoscere se stessi”, gli altri e il mondo,  in maniera consapevole.

Secondo l’autore il latino rappresenta la lingua attraverso cui è possibile accedere a quel mondo antico il cui lascito archeologico, artistico, letterario costituisce il biglietto da visita e l’orgoglio dell’Italia e degli italiani nel mondo.

Il latino ci ha insegnato che la parola non è statica ma dinamica come, secondo l’autore, dimostrano Lucrezio, Orazio e Seneca, grandi innovatori della lingua latina, che  per una stessa realtà ha in dote diverse sfaccettature linguistiche semantiche nel campo del diritto e della politica, della tecnica e della religione.

Oggi, di fronte alla volgarità del linguaggio e al fatto che alcune parole sono scadute a vocaboli che hanno smarrito la loro identità e la loro capacità comunicativa, si ha bisogno di una ecologia linguistica, di riscoprire la filologia, la disciplina che ha cura e amore per la parola, che è prima rispetto alla comunicazione.

Il latino ci ha insegnato anche la centralità del tempo con le sue varie espressioni. Infatti la lingua latina è particolarmente ricca di nomi che indicano il tempo: tempus, aevum, saeculum, momentum, dies e il cantore per eccellenza del “tempo” è stato il filosofo Seneca.

Il latino, come lingua concreta, pragmatica, ci ha insegnato anche la nobiltà della politica in quanto prendersi cura dello Stato, impegnarsi per la cosa pubblica, era una virtù che i cittadini romani esaltavano perché credevano nel primato della politica sulla vita dell’individuo. Secondo gli stoici far politica significava impegnarsi nel negotium, nel fare, nell’agire per la res publica, per la città.

In Europa la lingua latina è stata parlata fino a tutto l’Ottocento e oltre; è stata la lingua della cultura europea da Virgilio a Dante sia dal punto di vista del parlato che della letteratura.

Il latino si diffuse anche nel Medioevo grazie ai centri monastici a cui si deve la salvaguardia del patrimonio della grade cultura latina  e greca. Nell’Alto Medioevo (V-XI sec.) la cura del latino, lingua elitaria e aristocratica di Roma, fu affidata ad abbazie, pievi e monasteri, nel Basso Medioevo (XII-XV sec.) a movimenti religiosi e alle Università. Il latino fu anche la lingua diffusa e militante della Chiesa per il suo carattere universale, immutabile e non volgare.

La lingua latina plurimillenaria e proteiforme, fondamentale per il sapere giuridico e politico, scientifico e religioso, ha sempre avuto una triplice funzionalità culturale: la sinteticità perché caratterizzata dalla brevitas, da uno stile lapidario ed essenziale; l’inalterabilità perché lingua morta; l’universalità perché la lingua dell’Impero e della Chiesa. Per la sua brevitas, per la sua incisività ed essenzialità, il latino può adattarsi anche al mondo dei social network, al moderno linguaggio della comunicazione, dei twitter.

Nell’ultimo capitolo del libro l’autore esprime le sue osservazioni e riflessioni sul ruolo della scuola “dove passa il futuro”. Ed è solo la scuola, crocevia del futuro, che può risolvere la nuova querelle tra sapere scientifico e umanistico, tra mondo virtuale e mondo reale, tra conoscenza e competenza, tra la socialità del noi e la solitudine dell’io, tra “l’usare bene la rete” e  il “vivere bene al tempo della rete”. La scuola è quel luogo dove allievi e insegnanti, con le conoscenze ed esperienze, affrontano e condividono la severità e la bellezza della vita.

Il presente non  basta. La lezione del latino di Ivano Dionigi è un saggio scritto con una straordinaria chiarezza espositiva da uno dei massimi esperti di filologia; un libro denso ed ampiamente documentato in cui l’autore analizza, da vero “maestro”, problemi di attualità inerenti la cultura, l’educazione, la scuola, lo studio, la società del passato, del presente e soprattutto del futuro.

 

 

 


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