LACREME NAPULITANE

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“E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino è un film necessario per la sua triplice valenza: un omaggio al cinema, a Napoli, alla vita. Un film intenso e sofferto in  cui la fabbrica dei sogni (il cinema), la fantasia e la poesia sono inevitabilmente riassorbiti o polverizzati  dalla cruda realtà. Un possibile sottotitolo potrebbe essere “Vedi Napoli e poi muori” (in senso positivo e non) poiché la napoletanità aleggia in ogni sua piega, nel riso, nel pianto, nello sberleffo, nel paradosso, soprattutto per l’universalità di un costume, una intelligenza “superiore”, un’arte del soprav-vivere. Nel film si citano tre registi, Fellini, Zeffirelli e Capuano, il primo spicca per i “mostri”, le dilatazioni a dismisura così del fisico come delle psicologie, di soggetti “mostruosi” nel loro essere e nella loro perversione; una sorta di claunerì condotta sul filo di una satira sottilmente amara e pensosa. Si può sospettare una strizzata d’occhio a Eduardo soprattutto per la teatralità complessiva dell’impianto, se si vuole di quel teatro “dell’assurdo” che in Eduardo allude all’impossibilità di esser normali, buoni e disponibili poiché costretti a difendersi dai colpi spesso insostenibili che la vita ti riserva, insomma ad arrangiarsi. Come è per il giovane protagonista che si vede privato dei genitori morti in un banale incidente domestico (fuga di gas), sedotto e strumentalizzato da una vegliarda viziosa che l’induce a possederla, pudicamente attratto da una zia amabile e discreta. Un film che può dirsi una sorta di petroniano “satyricon” alla rovescia in cui il comico sconfina nel grottesco, davvero una “satura lanx” ossia un piatto farcito quello preparato da Sorrentino con una prelibatezza, la presenza in carne e ossa di Antonio Capuano, regista napoletano autore di un bellissimo film, “Luna rossa”, proiettato al Liceo Classico (me preside!) con l’intervento memorabile dello stesso regista dove, in occasione della proiezione del film “Le conseguenze dell’amore”, intervenne anche lo stesso Sorrentino regista del film. Confesso che rivedere Capuano nel film mi ha emozionato, ancor più una battuta rivolta al giovane: “Non ti disunire” intrinsecamente ed estrinsecamente significante. In una veloce sequenza in cui appare il Vesuvio mi è venuta in mente “La ginestra” del Leopardi di cui Napoli può dirsi effettivamente l’emblema nel senso che come quella è una città, un popolo che pur costretti a piegarsi da venti o tempeste avverse ciononostante non sono mai stati sradicata cioè abbattuti. Sì,Napoli con i suoi riti sacri e profani tra cui Maradona che nel film è opportunamente dimensionato più che glorificato. Un film in sintonia con la famosa, splendida canzone di Libero Bovio “Lacreme napulitane”, un inno agli emigranti italiani che partivano per l’America in cerca di lavoro con la schiena curva per il dolore del distacco eppure sempre erti nel cuore e nella mente. Il messaggio di Sorrentino e Capuano nel film vuol significare che se il cinema è la fabbrica dei sogni la vita invece è una fabbrica impietosa di imprevisti e ostacoli che però e nonostante tutto vanno contemperati anche col sogno: è acclarato che possono scorrere anche lacrime di gioia! Un film autobiografico ove l’Io viene riassorbito dal Noi poiché dentro, chi più chi meno, ci ritroviamo tutti per essere esperienziale. Indiscutibilmente un film di notevole spessore formale e stilistico, opportunamente “opprimente” e desolante da cui si esce comunque consapevoli di avere appreso un’utile lezione di calda umanità. Senz’altro diverso (inferiore?!) da “La grande bellezza”(Roma), semplicemente perché Roma non è Napoli ?!  (gimaul)


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