L’angolo delle curiosità: Dante Alighieri

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L’angolo delle curiosità su Dante (35)

Vien dietro a me, e lascia dir le genti: /sta come torre ferma, che non crolla/ già mai la cima per soffiar di venti.                    Purgatorio (Canto V)

Dante Alighieri per molti è il poeta universale, che unì cielo e terra e ha influenzato nei secoli la letteratura, l’arte e il cinema.                                                             

Secondo il teologo e biblista Gianfranco Ravasi «La danza quando è nobile, è un linguaggio non solo umano ma anche celeste, è atto storico e rito escatologico, come fa intuire in modo folgorante Dante nelle scenografie del suo Paradiso».

Prima che nella Commedia di Dante, secondo il filosofo e storico italiano Gennaro Sasso «l’odio è una costante della storia italiana; riscontrabile in mille episodi alla cui base c’è anche la realtà comunale variopinta e rissosa che accompagna la nascita del nostro paese».

Per il poeta, scrittore e saggista Franco Loi la poesia fa vibrare in tutto l’essere umano nel corpo e nello spirito. Compito della poesia è portare alla consapevolezza della propria essenza divina. Infatti Dante diceva: I mi sono un che, quando/Amor mi spira, noto/e a quel modo /ch’è ditta dentro vo significando. 

Nel V canto dell’Inferno, dove si narra la vicenda di Paolo e Francesca, la domanda di fondo può essere: «Può essere un male amare?» Che cosa significa amare davvero? 

Gli ipocriti sono condannati da Dante nella sesta bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno (canto XXIII) a procedere avvolti in una pesante cappa di piombo dorato.

Nel canto XXIV del Paradiso Dante, davanti a san Pietro la sua professione di fede, definisce il Dio creatore come colui che tutto ‘l ciel move, non moto, con amore e disio (versi 131-132), Con queste parole il poeta unisce la filosofia aristotelica, che considerava la divinità come «un Motore immobile» (move, non moto) con la visione cristiana di Dio, persona che ama (con amore e disio).  

Nel canto XIX (79-81) del Paradiso, terza cantica della Commedia Dante si sente rivolgere dall’Aquila celeste, ossia dalla squadra simbolica di beati, riguardo al mistero della giustizia divina le seguenti parole: «Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, / per giudicar di lungi mille miglia/ con la veduta corta d’una spanna?». Secondo il poeta è forte la tentazione si sedersi sul seggio del giudice sentenziando con facilità, senza aver approfondito il merito e le condizioni in cui è avvenuto ciò che si condanna.

Secondo padre Francesco De Feo, egumeno dell’abbazia di San Nilo di Grottaferrata, la Divina Commedia, grande opera letteraria, «può diventare estremamente significativa anche per migliorare le nostre relazioni con noi stessi, con gli altri e con Dio».

Dante Alighieri con la sua Commedia ha avuto una notevole importanza per Jung. Numerose sono le affinità letterarie, spirituali e mistiche che legano il pensatore e psicanalista svizzero al grande poeta italiano. L’opera di Dante, come guida, ha esercitato una enorme influenza sulle visioni di Jung nei Libri Neri e soprattutto sul Liber Novus e sullo sviluppo delle sue idee psicologiche. L’opera dantesca e quella junghiana possono essere lette in una ottica trasformativa ed esperienziale perché nascono da esperienze di immaginazione creatrice (viaggi, visioni, racconti).


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