L’angolo delle curiosità su Dante Alighieri

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La Commedia non è uno svago, ma è la coscienza e la consonanza della sorte umana, è il poema che ricorda agli uomini che la vita è assidua meditazione della morte.                                                                          Gianni Oliva 

         Il samo114, che parla dell’universalità dell’amore divino, fu caro anche a Dante che ne fece il canto delle anime del Purgatorio (II 46-48): In exitu Israel de Aegypto/ cantavan tutti insieme ad una voce/ con quanto di quel salmo è poscia scripto).

         Giotto è considerato indiscutibilmente come uno dei più geniali artisti della storia dell’arte italiana, un grande pittore che ha rinnovato, così come aveva fatto Dante Alighieri nella poesia, il linguaggio della pittura. Questo ruolo di innovatore gli fu riconosciuto dai suoi contemporanei tanto che lo stesso Dante, in una celebre terzina della Divina Commedia, scrisse: «Credette Cimabue nella pintura/ tener lo campo, e ora ha Giotto il grido/sì che la fama di colui è scura» (Purgatorio XI vv.94-96).

         Dante, nell’opera il Convivio, scrive: «Parlare di se stessi è lecito a due condizioni: quando si tratti di difendersi dall’infamia, e cioè dalla cattiva fama cui ci espongono le circostanze, o a fini di ammaestramento, allorché risulti utile addurre la propria esperienza personale».

         Il papa Paolo VI, alla conclusione dei lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II, donò ai Padri conciliari un’artistica edizione della Divina Commedia, e soprattutto onorò la memoria di Dante, sommo poeta fiorentino, con la Lettera Apostolica Altissimi cantus, in cui ribadiva lo stretto legame tra la Chiesa e Dante Alighieri.

          Paolo VI, convinto che la Divina Commedia fosse un poema di pace, ha scritto nella sua Lettera apostolica che «il poema di Dante è universale: nella sua immensa larghezza, abbraccia cielo e terra, eternità e tempo, i misteri di Dio e le vicende degli uomini, la dottrina sacra e quella attinta dal lume della ragione, i dati dell’esperienza personale e le memorie della storia»

         Il papa Francesco, in occasione del VII centenario della morte di Dante Alighieri ha scritto la Lettera apostolica dal titolo Candor Lucis aeternae (Splendore della luce eterna). Per il pontefice il sommo poeta è un profeta di speranza e un testimone della sete di infinito insita nel cuore dell’uomo. Molto meglio di tanti altri, Dante ha saputo esprimere con la bellezza della poesia, la profondità del mistero di Dio e dell’amore.

         Sulla Divina Commedia il semiologo e filosofo Umberto Eco ha scritto in maniera lapidaria: «Un tale va all’Inferno, attraversa il Purgatorio e finisce in Paradiso».

         Nella chiesa di Ravenna di San Pietro Maggiore nel 1321 furono celebrate le esequie di Dante, sommo poeta cristiano, che fu sepolto nell’area cimiteriale.

         Giovanni Papini, cento anni fa nel 1921, in un libro intitolato Dante vivo, prese di mira i dantisti, i dantomani, gli sterili chiosatori del poema, i quali presi dalle loro minuzie  interpretative (le cosiddette cruces dantesche) furono accusati di perdere di vista l’anima di Dante, la sostanza profonda del messaggio poetico, religioso e filosofico.

         Secondo alcuni studiosi Dante è un poeta difficile e come tale richiede rispetto. Il filosofo e storico  della filosofia francese Ètienne Gilson era del parere che quando ci si accosta a Dante è necessario dismettere gli abiti laici.

 


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