LATINA- In greco théatron significa teatro (anche spettatori),deriva dal verbo theàomai=guardare,vedere. Domenica 15 c.m.,al teatro Fellini di Pontinia, tutto esaurito per “Furore” letto-interpretato da Massimo Popolizio, un theatron tutto da vedere (e ascoltare). Il grande attore fece appena in tempo a calcare le tavole del palcoscenico del teatro D’Annunzio con “Copenhagen”(un tris d’assi > Popolizio,Orsini,Loiodice) per intercessione del sopraggiunto,nuovo assessore alla cultura Silvio Di Francia. Si inneggiò al miracolo,uno squarcio di luce dopo tante ombre. Neanche il tempo di elaborare gli effetti del miracolo e,paf-bum,le ombre sono tornate ad addensarsi e condensarsi su un teatro non più visibile perché “deficiente” cioè mancante (defìcere),venuto meno: un teatro fatuo e fatiscente come è di quei fuochi improvvisi e ingannatori. Nella lunga e triste storia dell’ascesa,caduta e “morte” del gran teatro mi viene da pensare che in questa faccenda c’entri il Fato. Non disgiunto dalla Yubris (gr. tracotanza,violenza e simili) di coloro che furono i fatali artefici del disastro a venire: le colpe dei padri destinate a ri-cadere sui figli? Senza scomodare Freud, “i padri” di allora quando il theatron si mostrava come un “monstrum” ,in latino “prodigio”,dunque, un miracolo architettonico e d’artistica,invidiabile immagine. Ci volle del tempo per capire che necessitava un direttore artistico. Dapprima,si pensò a un deus ex machina (Barbareschi),dopo breve tempo non più deus; a lui seguì il divo Maurizio Costanzo il quale venne,vide e se ne andò non certo vincitore. A questo punto dal tetto un merlo fischiò: “Attenzione,se così prosegue la storia, dovrete ingoiare la medicina”! Nessuno lo ascoltò e così si arrivò alla capitolazione. Se è vero che i figli spesso pagano le colpe dei padri, è altrettanto vero che dovrebbero far tesoro delle ricadute e correggere il tiro. Fuori di metafora: atteso che non sono un tecnico né un Vigile del Fuoco, mi piacerebbe conoscere l’arcano ossia fino a che punto “i figli” (i malcapitati del Comune di oggi,l’assessore alla cultura),sicuramente incolpevoli,debbano subire le colpe senza compiere lo sforzo di metabolizzarle: trovare delle risoluzioni senza contravvenire,ovviamente,alle prescrizioni di legge (sicurezza). La butto grezzamente in aria (una pipì!): le poltrone? Per Giove, si chiami Salvini, il problema lui lo risolve in quattro e quattr’otto: si trasportino quelle non ignifughe in Parlamento (hai visto mai che…!),quindi, si interpelli una ditta (la Frau no, forse,non c’è più!) e si acquisti una partita di poltrone ignifugate: finalmente il Fato (il certificato, i Vigili etc.) sarebbe sfatato, mondo boia! Per concludere in rima:
“Silvio,rimembri ancor quel tempo/ di tua d’assessor nova vita / allorquando in sul verno nella città/ gaudente di veder teatrali gesta/ ardimentoso le apristi ‘l varco./ E or ne la stagion presente e scura/ muto d’accento la compiangi /nel saperla mesta e deprivata / a non veder quel che veder si puote…./ A te,anima buona, altro non resta/ se non sperar nella stagion de’ fiori”.(gmaul


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