C’è modo e modo di perdere.

C’è un signore come Luis Enrique che, al termine della semifinale persa, anche con un bel po’ di sfortuna dalla sua Spagna, si complimenta vivamente con gli azzurri per la vittoria.

E chi, come i giocatori inglesi, dopo essere stati battuti meritatamente sul campo dagli stessi azzurri, alla cerimonia di premiazione si sfilano dal collo la medaglia d’argento immediatamente dopo esserne stati cinti dai vertici dell’Uefa.

Come a volerla rifiutare in segno di protesta. Protesta non si capisce bene basata su cosa, visto che l’arbitraggio si è dimostrato all’altezza della situazione, sobrio, equidistante, senza grosse sbavature, in una partita lineare, mai attraversata da episodi dubbi.

A meno che non si aspettassero un trattamento speciale sulla falsariga di quello di cui hanno goduto nella sfida con la Danimarca.

Come cambiano i tempi: gli inglesi sembrano aver smarrito alcune delle loro proverbiali caratteristiche: il self control, quel pizzico di humour che non guasta mai e quel comportamento rispettoso delle regole, del risultato venuto fuori dalla competizione e dell’avversario, condensato nella locuzione tutta anglosassone di “fair play”.

Ma, se dall’angolazione etico-sportiva i ragazzi di Southgate non ci hanno fatto certo una bella figura di fronte agli occhi del mondo intero, ancora peggiore è stata l’immagine che ci lasciano i tifosi che avevano fatto del tormentone “it’s coming home”, il loro inno di battaglia.

I quali, prima, in sfregio anche alla presenza in tribuna d’onore del presidente Mattarella, fischiano sonoramente l’inno di Mameli ed ogni giocata degli italiani, poi con parole di stampo razzistico dileggiano i loro calciatori di colore che hanno sbagliato i rigori decisivi, quindi, ciliegina sulla torta, attendono l’uscita degli italiani dagli spalti di Wembley per pestarli vigliaccamente a sangue.

Giusto allora che, dopo averlo inventato, il calcio, e quindi la vittoria in un campionato mondiale o europeo, non abbia alcuna voglia di tornare a casa.

E quella Coppa Rimet del 1966, conquistata tra l’altro con l’aiutino di un gol fantasma ai supplementari a danno della Germania Ovest, continua a rimanere desolatamente sola.


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