Caffè scorretto. Smaltiamo la rabbia oltre che i rifiuti

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Lo spettro che s’aggira in provincia di Latina ha un nome. E un cognome. Discarica. Di Borgo Montello. Ma è un fantasma che più trascorrevano i giorni più si materializzava. Da quando? Da quando il Comune di Latina ha perso il 51% della Ecoambiente, a nome di LatinaAmbiente, dichiarata fallita a dicembre 2016 (6 mesi dopo che Lbc vince le elezioni). Breve Bignami: la giunta Coletta si rifiutò di riconoscere i 20 milioni di debito che pesavano sul Palazzo comunale nei confronti di LatinaAmbiente, quel rifiuto costrinse il Tribunale a respingere il piano di concordato redatto da Bernardino Quattrociocchi. Oggi la curatela fallimentare della LatinaAmbiente sta recuperando quei crediti non riconosciuti, avendo percepito a oggi circa 8 milioni: un’azione (o una mancata azione, fate vobis) che ha portato al fallimento della LatinaAmbiente, alla perdita del controllo pubblico sulla discarica di Borgo Montello e alla possibilità di rivalersi nei confronti delle precedenti amministrazioni, poiché il danno erariale non era stato certo provocato dalla maggioranza Lbc. E così, abbiamo assistito all’asta fallimentare, col campo aperto ad altri soggetti privati, che hanno sganciato la discreta somma di 2,5 milioni. Per fare collezione di invasi inutilizzabili? Certo che no. All’epoca, nel marzo 2018, il Comune di Latina diramava una nota, testualmente “alla luce di tutto ciò dare per scontato l’immediato riavvio delle attività di smaltimento a Borgo Montello, è un puro esercizio teorico, una forzatura volutamente allarmistica cara a certa politica, che non ha alcun aggancio con la realtà dei fatti”. Candore e ingenuità che si mixano per un cocktail micidiale, tant’è che a distanza di poco meno di 2 anni da quella perdita (un Comune proprietario di una discarica non è una iattura, ma un enorme vantaggio per una comunità, checché ne dicano ambientalisti puristi che probabilmente non producono nemmeno bisogni fisiologici) ecco che la Regione Lazio è chiamata a rispondere a un’emergenza che alla fine s’è palesata. Chiude la discarica di Colleferro? Tutti esultano. Come se i rifiuti (quelli secchi) sparissero per un gioco di prestigio, mentre da una parte si levano voci per la green economy e poi i progetti per trasformare l’umido in energia hanno più ostacoli di quanti ne ha dovuti affrontare Ercole. Infatti, l’aspetto grottesco di questa vicenda è che non soltanto i soggetti privati che hanno investito in terra pontina devono rispondere ai ricorsi al Tar innalzati da Comuni e comitati più o meno spontanei, ma anche gli enti pubblici consorziati che hanno intuito l’idea di produrre bioenergia dalla frazione organica umida si accorgono che esistono lotte intestine tra i partiti pronti ad aizzare cittadini a digiuno del tema. Basterebbe porsi una domanda: se io produco rifiuti che fine faranno? Se io non voglio un impianto che trasforma la monnezza vicino casa mia, perché dovrebbe accettarlo un altro? Se da legge regionale ogni provincia deve provvedere a chiudere il ciclo dei rifiuti territorialmente perché si procede a colpi di deroghe? Un corto circuito figlio di decisioni pilatesche. Lo stesso motivo per cui oggi parliamo ancora di emergenza rifiuti, di cicli territoriali non chiusi e di discariche (ri)aperte. Alla fine, la proposta più seria resta la provocazione stizzita di Carlo Medici, presidente della Provincia: ogni Comune si farà il suo impianto. Amen.


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