“Io e ‘compagni eravam vecchi e tardi/quando venimmo a quella foce stretta/dov’Ercule segnò li suoi riguardi/acciò che l’uom più oltre non si metta/….Li miei compagni feci così aguti,/con questa orazion picciola,al cammino,/che a pena poscia li avrei ritenuti; /e volta nostra poppa nel mattino,/de’ remi facemmo ali al folle volo…..” (Dante,Inf. XXVI). Leopardi insegna che sfidare o oltraggiare la Natura, di per sé matrigna, è altrettanto folle, una sfida perduta in partenza. Personalmente ho sempre pensato che nella vita bisogna saper rischiare-,che in molti casi il rischio è sinonimo di coraggio,di sfida sempre che si calcoli la forza dell’avversario o delle conseguenze. Diversamente, si sconfina nel suicidio o nel delirio di onnipotenza. Lo stesso agonismo,nello sport o nelle imprese alpinistiche, pur implicando la sfida con se stessi,non implica la sfida dell’impossibile; Il Maestro -R.Messner -aveva messo Nardi sull’avviso sconsigliandolo. E’ triste anche per un qualsiasi,buon maestro il dover constatare,a posteriori, di non avere più il diritto di dare consigli agli allievi che presumono di oltrepassare le colonne d’Ercole. Con tutto il dolore per l’accaduto, ritengo sia più “poetico” ricordare l’Ulisse dei nostri giorni collocato in un Inferno bianco, con il suo compagno di sventura nel folle volo, conservandone l’effigie e la persona intatta. Viva come l’Ulisse di Dante, inflessibile come la Ginestra di Leopardi. (gmaul)


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