Il soffio del vento: Debolezza

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Debolezza

Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io, sia per la debolezza del mio linguaggio, sia per la debolezza della mia intelligenza.                                                        Michel de Montaigne

Numerose e variegate sono le osservazioni e le riflessioni che alla parola debolezza hanno espresso letterati, medici, psicologi, filosofi, teologi e sociologi ampliandone l’orizzonte semantico. Alla parola sono stati accostati, quasi fossero sinonimi: scarso vigore fisico, insufficienza di forza o di energia, stato di prostrazione, di fiacchezza e di spossatezza che scaturisce da una fatica o da una malattia grave e prolungata. In senso figurato debolezza significa incapacità a resistere alle tentazioni, mancanza di forza morale, di carattere e di perseveranza.                                                                                     Intrinseca alla natura umana, la debolezza riconosciuta e accolta è accostata alla fragilità, alla limitatezza e talvolta anche alla pusillanimità e alla viltà. Diceva Plutarco: «Noi siamo tutti impastati di debolezze e di errori: perdonarci reciprocamente le nostre balordaggini è la prima legge di natura». Lo scrittore Claudio Magris ha affermato: «prendere atto, apertamente, di una propria debolezza e inadeguatezza è una delle più alte prove di libertà e di intelligenza». Pier Paolo Pasolini  ha scritto: «La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la mia solitudine che è la mia debolezza».

I medici nel loro linguaggio scientifico identificano la debolezza con l’astenia o debilità, intesa come indebolimento delle funzioni di un organo o dell’intero organismo, dovuto a cause fisiologhe o psichiche.

Gli psicologi, nello studiare la debolezza, si riferiscono al ritardo mentale inteso come insufficiente sviluppo o rallentamento delle capacità intellettive che nelle persone adulte si trasforma in una situazione che investe la capacità di scelta, di coordinazione tra azione e pensiero e autonomia della persona.                                                                                                                                       I filosofi Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, negli ultimi decenni del XX secolo, hanno introdotto in Italia il concetto di pensiero debole che descrive un importante mutamento etico nel modo di concepire la filosofia.

La debolezza umana e i deboli  soprattutto sono stati oggetto di attenzione anche da parte di religiosi e di uomini della chiesa. Per molti di loro la debolezza, insieme con la malattia e la morte, ha costituito e costituisce uno dei grandi temi teologici e una delle grandi e perenni questioni dell’umanità. Ha scritto il sociologo Dario Fani: «È bene accogliere la debolezza, la fragilità e l’imperfezione perché attraversando il mondo con i deboli si vince».


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