La grande invenzione

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La grande invenzione. Il linguaggio come tecnologia dalle pitture rupestri al Gpt-3 

La tecnologia e il mondo digitale sono in sé neutri; è la mano dell’uomo,  che agisce per il bene e per il male, a determinare l’uso dello strumento. (Paolo Benanti)

Conosciamo da tempo e seguiamo con vivo interesse gli studi e le ricerche di Paolo Benanti, uno dei più acuti osservatori della rete e delle tecnologie digitali, che affronta nel saggio La grande invenzione (edizioni San Paolo) il problema del linguaggio in chiave di “algo-etica” e si occupa di bioetica e di etica delle tecnologie.

Nel suo avvincente libro, che apre molti interrogativi, l’autore focalizza l’attenzione sul linguaggio che, con un preciso excursus storico, viene analizzato con lungimiranza e acume dall’antichità preistorica, dalle «pitture rupestri» fino a oggi, al GPT-3 (acronimo di Generative Pre-training Transformer), un nuovo modello di linguaggio che imita quello umano.

Per Benanti il linguaggio, come ha affermato il filosofo tedesco Heidegger, è la «casa dell’essere», è fondamentalmente una tecnologia della comunicazione, uno strumento di interazione simbolica, una condizione in cui abitiamo e viviamo, un «artefatto tecnologico» che funge da mediazione nel complesso e complicato rapporto tra l’essere umano e il mondo. Il linguaggio, inteso come la nostra capacità di comunicare, è la principale invenzione dell’umanità, senza la quale, non saremmo umani.

L’autore, nel suo articolato viaggio di ricerca, esamina in maniera storico-critica la progressiva trasformazione dal mondo analogico a quello digitale, che costituisce una vera e propria rivoluzione ontologica, epistemologica e antropologica perché il nuovo sistema digitale cambia radicalmente il nostro linguaggio e apre, in un contesto iper-tecnologizzato, un nuovo sguardo e una diversa capacità dell’essere umano di costruire narrazioni del mondo. La nuova galassia digitale, come la parola orale, il linguaggio sintattico, la scrittura e la stampa nella storia dell’umanità, sta cambiando l’orizzonte umano e culturale.

Tema centrale del libro, articolato in cinque densi capitoli, è il linguaggio. considerato strumento sociale umano, tecnologia della comunicazione, peculiare artefatto tecnologico della nostra specie, che influenza l’esistenza di ogni essere umano, la relazione delle persone con il mondo e le modalità di conoscenza dell’uomo.       Il linguaggio, nella condizione tecno-umana in cui stiamo vivendo, non è solo una grande invenzione, ma è il mezzo che ci permette di comunicare il nostro inventare e di realizzare la capacità stessa di inventare e comunicare l’invisibile.

Nel primo capitolo l’autore si pone la domanda fondamentale di senso su cosa debba intendersi, dal punto di vista filosofico, per artefatto tecnologico e tecnologia. Egli considera l’uomo un essere che, fin dal periodo della sua comparsa sulla terra (il paleolitico), si è espresso nella tecnologia ed è vissuto interagendo con l’ambiente mediante artefatti tecnologici che l’umanità ha realizzato nel corso della storia.

L’uomo non si relaziona con la realtà in modo puramente biologico, bensì attraverso le varie mediazioni offerte dagli artefatti tecnologici. Con la tecnologia l’uomo ha cambiato il mondo e se stesso per abitare il mondo e le pitture rupestri e i riti funebri sono attività che testimoniano l’antropizzazione del mondo.

Nel secondo capitolo Benanti, partendo dalla teoria generale del linguaggio di Noam Chomsky e dall’analisi linguistica di Andrea Moro, prosecutore dello studioso americano, e dalle ricerche del linguista israeliano Daniel Dor, focalizza l’attenzione sul linguaggio, grande invenzione, che permette all’uomo di esistere e di comunicare la sua natura simbolica e spirituale, e sottolinea il contributo delle neuroscienze e della linguistica.

L’autore del libro si pone la domanda a cosa serve il linguaggio, tecnologia sociale nell’esistenza umana (come il libro, il fax, il telefono, Facebook) che si diffonde cambiando la vita e l’uomo come specie biologica? Qual è il suo fine? E se e come può essere considerato uno strumento tecnologico per condividere l’immaginazione?

Il linguaggio, unico sistema che va oltre la condivisione dell’esperienza, (nel terzo capitolo) è una forma di  tecnologia sociale che rende possibile la comunicazione di esperienze non altrimenti comunicabili e permette di costruire e comunicare un universo di senso e significato. La tecnologia del linguaggio, nel farsi narrazione, dona all’essere umano la capacità di ipotizzare e comunicare se stesso in determinate situazioni e permette di allenarci e prepararci per l’ipotetico e il possibile.

Il linguaggio, come habitat all’interno del quale conduciamo  le nostre esistenze, è l’invenzione che ci consente di aver un mondo pluristratificato, di abitarlo con le parole e di condividerlo con altri membri della nostra specie trasmettendo informazioni e competenze su quanto esiste; un mondo fatto di significati e di cultura, che è la realtà costruita dalle nostre parole e dal nostro linguaggio.

Il linguaggio, mero strumento per comunicare l’invisibile, è la tecnologia simbolica per eccellenza perché ogni parola è simbolo di una esperienza; esso ha la capacità di donarci e raccontarci la storia. Grazie al linguaggio che comunichiamo la fondamentale esperienza di valore morale che si accende nell’intimo della nostra coscienza, e grazie ad esso il mondo della coscienza etica diviene un mondo condiviso di valori e norme morali. Infatti con il linguaggio realizziamo e trasmettiamo limiti sociali e politici al nostro comportamento. Norme morali, costumi sociali e diritti sono costrutti tecnologico-linguistici che vogliono creare ordine nel flusso continuo del nostro vivere.

L’ulteriore indagine dell’autore, nel quarto capitolo, si sofferma sull’evoluzione e trasformazione della tecnologia linguistica, sul passaggio della parola da un artefatto linguistico parlato a un artificio linguistico stampato, dall’oralità alla scrittura, che ha prodotto un cambiamento del nostro conoscere e scoprire, della visualizzazione della realtà, del mondo e della sua interpretazione e anche il modo in cui abbiamo percepito e definito il nostro orizzonte.

Nell’ultimo capitolo l’autore si chiede cosa ha comportato sulle frontiere della contemporaneità la trasformazione del digitale e della parola a tecnologia computata. Con la quarta rivoluzione, tutta tecnologica (l’infosfera), il linguaggio, nell’ambito della società dell’informazione, diventa artefatto linguistico computato che comporta una trasformazione radicale di molti settori di attività e soprattutto della nostra comprensione della realtà e di noi stessi. Questo artefatto linguistico computazionale produce un nuovo modo radicale di comprendere e organizzare la realtà e cambia quindi la nostra prospettiva sul mondo.

Con il GPT-3 (sistema computazionale progettato per generare sequenze di parole, codice o altri dati), si arriva a delineare la nuova forma dell’artefatto linguistico computazionale, capace di istruire la nostra immaginazione, l’invenzione dell’inventare, di farci vedere l’invisibile, di rendere visibile l’invisibile.  

Con lo studio e le ricerche presenti nel libro, Paolo Benanti  in maniera narrativa e argomentativa mette in evidenza come il mondo sia un ambito chiave per comprendere la natura umana e le sue peculiarità, per investigare, con l’antropologia filosofica, l’unicità dell’uomo come essere-nel-mondo e della sua condizione tecno-umana. Con il linguaggio, a cui l’uomo affida il riconoscimento del giusto e del bene, l’essere umano trascende il suo dato biologico e sensoriale per cercare la verità e il senso del vivere umano.

Il saggio acuto e intenso di Paolo Benanti in sintesi non è altro che un dialogo con alcuni dei maggiori pensatori contemporanei. Nelle oltre 240 pagine l’autore si confronta con loro per cercare un punto di unificazione per comprendere la condizione tecno-umana, in cui oggi l’essere umano si trova a vivere.


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