Elezioni americane: perchè in Europa non capiamo il successo di The Donald

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Dopo 4 anni dall’elezione di The Donald, la più grande democrazia occidentale al mondo è tornata alle urne. L’elettorato americano si è espresso e l’esito del voto, ancora una volta, non è per niente scontato. Potrebbe arrivare nelle prossime ore, giorni o addirittura nelle prossime settimane, se come preannunciato, uno dei due candidati dovesse davvero contestare il risultato.

Indipendentemente da come andrà, è importante iniziare a riflettere su queste elezioni e sul perché in Europa (e non solo) abbiamo perso la capacità di valutare oggettivamente quello che accade oltreoceano.

Molti di noi in queste ore si staranno chiedendo come sia possibile che così tanti americani abbiano deciso ancora una volta di accordare la loro fiducia ad un uomo così divisivo, irriverente e inaffidabile. Un uomo che, pur vivendo una vita di lusso sfrenato, negli ultimi 10 anni ha pagato meno tasse della maggior parte degli americani, che ha prima negato l’esistenza del Covid-19 e poi consigliato cure fantasiose a base di disinfettate, un uomo che ha sempre ostentato fieramente misoginia e xenofobia, che ha detto tutto e il contrario di tutto. A ben vedere, forse non ce lo aspettavamo perché siamo abituati a idealizzare l’America e a vederla attraverso quella bolla elitaria e liberale delle grandi metropoli progressiste e  della Silicon Valley che ci vengono descritte dai media internazionali. Ma l’America non è solo questa e soprattutto, questa non è l’America di Trump.

Trump è stato in grado di polarizzare l’opinione pubblica e conquistare un elettorato molto più interclassista di quello che pensiamo. Comunque vada, The Donald ha già vinto. Ha vinto non solo perchè nonostante l’ altissima affluenza -una delle più alte della storia americana- non c’è stata nessuna “onda blu”, ma anche perchè ha già ottenuto molti più voti rispetto al 2016. Se dunque vogliamo considerare queste elezioni come un referendum sulla sua amministrazione, come affermavano alcuni, l’esito è sorprendentemente positivo. A differenza di quello che molti di noi si aspettavano, Trump non è stato spazzato via dal virus, anzi ne è uscito rinforzato.

Il voto americano non è stato un voto ideologico, un voto sui diritti civili e politici, spesso calpestati senza remora in questi anni, ma è stato un voto pragmatico che ha premiato l’economia e la gestione della pandemia.  Con 8 milioni di contagi e più di 200.000 morti, l’economia americana ha infatti segnato un sorprendente + 33%, che se continuasse anche nel quarto trimestre porterebbe addirittura ad evitare la recessione. Davanti a questi dati, con una mossa diametralmente opposta alla posizione prevalente in Europa, molti americani hanno guardato al proprio portafogli prima che al diritto alla salute. In America, dunque, qualsiasi considerazione è secondaria a quelle di natura economica.

Del resto, questo avremmo dovuto capirlo già da un pezzo. Come dimenticare la provocazione di Trump che proclamò di poter addirittura sparare al centro della 5th Avenue senza perdere nemmeno un voto? Evidentemente aveva ragione. L’economia negli USA è un tema centrale, molto più delle ideologie, molto più di quei diritti politici, sociali e civili che sono tanto cari a noi in Europa. Queste elezioni dimostrano come le sensibilità americane siano estremamente diverse da quelle Europee: temi come la sanità pubblica, il diritto alla salute, il diritto all’aborto o i diritti civili non appassionano gran parte dell’elettorato americano. Nonostante sia stato uno dei Presidenti più dichiaratamente razzista e xenofobo, il pragmatismo trumpiano ha saputo addirittura conquistare parte dell’elettorato latino-americano.  Nonostante alcune defezioni tra i suoi compagni di partito, Trump è riuscito a riunire sotto di sé un elettorato repubblicano più o meno compatto, e questo lo ha ripagato.

Senza virus, dicono, Trump avrebbe probabilmente già vinto a mani bassi. Ma il virus non lo ha indebolito agli occhi di tutti, anzi, lo ha rinforzato. Trump ha saputo ancora una volta girare le carte in tavola. Dopo appena pochi giorni di convalescenza è riapparso sulla scena come una sorta di redivivo, a dimostrazione che il Covid-19 può essere sconfitto e che lui è l’uomo adatto a farlo.

Indipendentemente dal risultato di queste elezioni, dunque, non lasciamoci ingannare: Trump non è sconfitto e il trumpismo è oggi più vivo che mai. La vittoria del 2016 non è stata un incidente della storia.  Dall’altra  sponda dell’Atlantico è arrivato il momento di avviare una riflessione più ampia che ci aiuti a comprendere il cambiamento profondo che sta avvenendo nelle società democratiche occidentali, per evitare di farci trovare impreparati.


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Laureata in Studi sulla Sicurezza Internazionale, con una formazione multiculturale in 6 diversi atenei italiani, europei ed esteri, scelgo News-24 per portare ai lettori il mio sguardo sul mondo.