Giotto a Firenze

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Giotto a Firenze                                                                       Rimutò l’arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno. (Cennino Cennini)

Giotto acquisì durante la sua vita una notorietà e una considerazione assolute. Il suo ruolo è stato quello di attuare il passaggio già iniziato dall’altro pittore toscano, considerato suo maestro, Cimabue. Lo scultore Lorenzo Ghiberti e il pittore Giorgio Vasari hanno raccontato la favola del giovane Giotto sorpreso da Cimabue nella campagna toscana mentre faceva il ritratto delle pecore. L’episodio, che persiste nell’immaginario collettivo, serve per evidenziare l’approccio diretto alla realtà da parte del giovane pittore di Firenze.

Giotto divenne l’emblema della pittura “moderna” distaccandosi dalla «maniera greca» bizantineggiante e restituì uno sguardo diretto sul vero, sulla realtà dove il moto psicologico, la percezione dello spazio e la concretezza dei volumi acquisiscono una nuova valenza. Spazio, massa e psicologia sono i tre valori principali sui cui si basa la novità della pittura giottesca.

I principali luoghi dove Giotto espresse la sua magnifica arte pittorica furono Firenze, Roma, Assisi e Padova. A Firenze, negli anni dal 1296 al 1300, Giotto dipinse il Crocifisso (tempera su tavola) di Santa Maria Novella che raffigura un corpo reale, colto in tutta la sua fisicità e le figure della Vergine dolente e di san Giovanni nei tabelloni, realizzando un modello destinato a essere immediatamente e largamente imitato per l’altissima qualità, fattura e disegno.

Nei primi anni del Trecento Giotto per la chiesa fiorentina di Ognissanti dipinse una Madonna in trono col Bambino, tema trattato con una originalità senza confronti. Solenne e dignitosa come una matrona romana, la Vergine tiene sulle ginocchia Gesù ed è rappresentata in una monumentalità inconsueta e innovatrice. Il grande corpo della Madonna occupa uno spazio ben definito ed è modellato con un rilievo quasi scultoreo. Il suo volto è sereno e composto e la bocca socchiusa lascia intravedere i denti.

Questa Madonna rivela elementi di grande novità rispetto alle tradizionali Maestà duecentesche: la profondità spaziale, nonostante il consueto fondo oro, realizzata attraverso l’aerea ed elegante architettura del trono; l’aspetto terreno della Vergine e il senso del volume (che ispirerà Masaccio).

Nel dipinto molto raffinati sono i colori come il bianco madreperlaceo del vestito di Maria ricoperto da un manto verde (un tempo azzurro prima del restauro) e il rosso  di quello del Bambino, che hanno innegabili valenze simboliche. Minuti e preziosi sono gli elementi decorativi del trono, che interagiscono con l’oro del fondo e con un leggero raggio di luce che sembra investire la Madonna.

Il dipinto della Dormitio Virginis (tra il 1312 e 1314), che è un dorsale proveniente dalla chiesa fiorentina di Ognissanti, rappresenta, secondo l’iconografia tradizionale, la Madonna giacente sul sarcofago, circondata da angeli e santi e, dietro di lei, Cristo con in mano la “animula”. In questo dipinto non mancano innovazioni nell’andamento prospettico della composizione, nell’atteggiamento degli angeli e santi, nelle loro espressioni costruite con morbidezza di colore e chiaroscuro.

Nel 1317 Giotto iniziò ad affrescare con Storie dei due san Giovanni (Battista ed Evangelista) la cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze, dove un largo spazio compositivo si anima di forme più complesse rispetto a quelle successive di Padova, di giochi spaziali più mossi e di più ricca invenzione. A questo periodo appartengono il Polittico Peruzzi conservato presso il Museo d’arte della Carolina del Nord di Raleigh, il Transito della Vergine di Berlino e le piccole Storie di Cristo divise tra i musei di New York, Boston, Londra, Monaco e Settignano.

Intorno al 1325 sono databili gli affreschi della Cappella Bardi in Santa Croce a Firenze con le Storie di san Francesco dove le scene principali sono caratterizzate da un ritmo compositivo disteso e solenne, favorito dalla modulazione pacata di un colore caldo e intenso, che toglie alle storie l’immediatezza, elevandone la sostanza drammatica a un grado di verità più alto ed essenziale.

Nel 1344, nominato capomastro dell’opera del duomo di Firenze, Giotto pose con i suoi disegni le fondamenta del Campanile che sorse isolato dal corpo della chiesa, su pianta quadrata con robusti contrafforti angolari di forma gotica, per controbilanciare le spinte delle volte dei vari piani interni.

 

 

 


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