In premessa: ho sempre diffidato delle pseudo avanguardie, tanto più se intellettualistiche. I fatti. Un regista che si rispetti,nella sua libertà creativa, affronta un autore,un testo rileggendolo e commisurandolo alla sua sensibilità o weltanschauung (visione della vita,ideologia), anche “stravolgendolo” ma restituendone pur sempre lo spirito. Oppure riscrivendolo come nel caso della straordinaria operazione compiuta da G.Testori con alcune commedie di Shakespeare (Macbetto, Ambleto). Vedendo al teatro Argentina (RM) il discutibile “Giardino dei ciliegi” di Cechov per la regia di Alessandro Serra, ci siamo chiesti se egli per il suo “Macbettu” (scorsa stagione, che non vidi, mi si dice molto bello) abbia pensato a Testori per una semplice ragione magari scontata: il “trattamento” da lui riservato al testo del commediografo russo. Infatti, laddove Testori rileggendo e, si fa per dire, stravolgendo Shakespeare ha creato un testo diversamente originale (in dialetto lombardo o meneghino), G.Barberio Corsetti ha riveduto e scorretto“Re Lear” (non ne apprezzai l’allestimento) ma lo spirito corrispondeva a quello dell’autore-testo, al contrario, Serra ha mortificato, ottenebrato il testo di Cechov fino all’emarginazione di esso come se fosse di troppo. E così pure i personaggi-attori restituendoci una pièce assolutamente funeraria e funebre, assai noiosa e confusa, popolata da “anime morte”(non proprio quelle di Gogol, magari!), corpi esanimi a terra distesi (sic nel prologo e epilogo). Una scenografia non già stilizzata, geometrica ed essenziale,dunque, metafisica -il surreale “Giardino” di Strehler, tutto bianco alternato ai toni grigi e avana (abiti), con  sfumature di giallo(il sole), ideato dal grande D.Damiani- bensì anonima, astratta nel senso del non senso letteralmente e non artisticamente inteso. Nel volantino pubblicitario leggiamo che si rifugge (intendiamo di proposito) dalla nostalgia -una delle indimenticabili cifre stilistiche e interpretative del “Giardino” di Strehler in consonanza con l’autore (l’occhio rivolto al presente/futuro)-  puntando “a qualcosa di indissolubilmente legato all’infanzia,come certi organi misteriosi che possiedono i bambini e che si atrofizzano in età adulta”: c’è da rimanere basiti come di fronte a quei critici della letteratura o cose d’arte che si sovrappongono all’autore e all’opera anteponendo a essi la propria “autorialità” (è accaduto spesso,specie con la nuova critica cosiddetta strutturalistica).”Non c’è trama, non accade nulla, tutto è nei personaggi. Una partitura per anime in cui i dialoghi sono monologhi interiori…Un unico respiro,un’unica voce”: mioddio, neanche nel più ardito teatro dell’assurdo! Infatti, nello scatolone spoglio del palcoscenico dove transitano alcuni oggetti di scena tra cui delle sedie che,alla fine,vorrebbero significare un grumo di…..(non abbiamo capito bene!) è un continuo aggirarsi a vuoto di anime in pena (gli attori) come in un cimitero cui fa da sfondo uno schermo a tutto campo, dapprima color neutro,poi, ravvivato da gradazioni di timidissimi cenni di presunti alberi (secondo una libera immaginazione!).Musichetta di complemento,una donna metà ballerina metà saltimbanco dal ruolo non ben identificabile: chi ha letto la commedia avrà capito essere Charlotte, governante cecovianamente svampita nell’indimenticabile “Giardino” di Strehler nonché in quelli pure straordinari di Dodin (Piccolo teatro) e Nekrosius (teatro Valle Roma). Ma di chi parliamo? Dei “parrucconi”, è chiaro, che la pseudo avanguardia spernacchia! Il testo? Roba d’altri tempi cosicché battute focali vanno alla malora, dette alla spicciolata dagli “sciagurati” attori (non per colpa loro) costretti a deambulare, dunque, bruciate e annullate ignobilmente. Viva Ronconi che il testo lo ha egregiamente e teatralmente esaltato e rappresentato. Viva Strehler il quale,anche a fronte dei due grandi maestri citati rimane insuperato per la magia, il sentimento, la lettura critica e psicologica del suo “Giardino”; della sua Liuba: una grande Valentina Cortese a confronto della quale in questo smorto e avvilente giardino-cimitero, l’ultima della serie sembra un’ordinaria massaia (e non per colpa dell’attrice). Che dire dell’ inverosimile grappolo di sedie d’alluminio che, alla stregua di ferro vecchio (il simbolo del vecchio mondo? E meno male!) viene accatastato al centro della scena,sospeso a un gancio industriale e sollevato in alto? Brecht avrebbe commentato: ascesa e caduta di un improbabile giardino cecoviano! In definitiva, un Cechov cervellotico e senz’anima. Per quanto mi riguarda dico: viva la nostalgia! Col vecchio Verdi ripeto: “Torniamo all’antico e sarà un progresso” (!) PS. Un dubbio: il “pilota” Alessando Serra avesse voluto fare un dispetto a Strehler, diciamo un ampio gesto osceno?!  (gimaul)

 


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