Il soffio del vento: Auschwitz

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Auschwitz

Auschwitz è un immenso laboratorio umano. Di Auschwitz, che è stato il buco nero della storia, non è possibile nessuna descrizione: è indescrivibile.                                                                                  Primo Levi

Questa lapidaria frase dello scrittore italiano, Primo Levi (Torino 1919 – 1987), autore di racconti, di memorie e di libri indimenticabili, come Se questo è un uomo, (1947), Se non ora, quando? (1982), I sommersi e i salvati (1986), nei quali ha descritto la sua esperienza di ebreo deportato ad Auschwitz, a pochi ore dalla Giornata delle memoria ci induce a ricordare, a comprendere e a riflettere sulla immane tragedia della Shoah, sulle drammatiche esperienze vissute nel secolo scorso da molti uomini e donne, bambini e vecchi nei lager tedeschi.

Primo Levi ha offerto una delle più alte testimonianze sulla tragica realtà dell’inferno dei lager nazisti dove, come ha scritto il professore Giorgio Campanini «è spesso echeggiata la tragica domanda “dove era Dio?”, un interrogativo che ha avuto il suo inevitabile pendant in un’altra domanda: “dove era l’uomo”?».

A questi inquietanti interrogativi lo scrittore e giornalista statunitense di origine romena, Premio Nobel per la Pace (1986), Eliezer Wiesel,  che ha tramandato la sua personale esperienza dell’Olocausto, ha risposto in maniera sintetica: «Dio è sul patibolo a soffrire insieme con le vittime».

Imre Kertész, scrittore ungherese, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti e Premio Nobel per la Letteratura (2002), ha aggiunto che «Auschwitz, e tutto quanto ha a che fare con esso, è stato il più grande trauma dell’uomo europeo fin dalla croce, sebbene ci vorranno decenni e secoli perché ce ne rendiamo conto». Questo grande scrittore, oltre a narrare la sua diretta esperienza nel lager, ha affrontato il tema dell’Olocausto in un’ottica decisamente diversa, ponendo la sua terribile realtà non solo come sconfitta e tragedia del popolo ebreo ma, intuendola in senso più ampio, come evento traumatico dell’intera civiltà occidentale.

Anche per il sociologo polacco, Zygmunt Bauman, l’esperienza dell’Olocausto «va vista non già come una ferita o una malattia della nostra civiltà, bensì come il suo prodotto terrificante in quanto fu pensato e messo in atto nell’ambito della nostra società razionale moderna, nello stadio avanzato della nostra civiltà e al culmine dello sviluppo culturale umano».

 

 


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