Il viaggio di Dante

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Il “viaggio” e il “teatro” sono le grandi figure attraverso le quali l’Occidente  ha cercato di leggere e interpretare lo svolgersi della vita dell’uomo.

Silvano Petrosino

         Il viaggio è una speciale e importante esperienza umana che ha un significato plurimo, perché riguarda il mondo emozionale, intellettuale e sociale. Il filosofo francese Michel de Montaigne ha scritto: «A chi mi domanda ragione dei miei viaggi, rispondo che son bene quello che sfuggo, ma non quello che cerco», e per lo scrittore Marcel Proust «il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi». Per il sommo poeta, Dante Alighieri, il viaggio ha un significato del tutto particolare che ha attratto uomini e donne di ogni latitudine e di ogni periodo storico.

«Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura/ che la diritta via era smarrita» (Inferno, Canto I, vv. 1-3). Con questi primi tre versi inizia la Commedia e il celebre viaggio oltremondano di Dante Alighieri attraverso i dolori e i tormenti del peccato dell’uomo, nell’abisso del regno dei morti.

Il lungo viaggio di purificazione e di salvezza del sommo poeta ha inizio nel mondo terreno, nella selva oscura dell’Inferno e, attraverso il regno mite della transizione nel Purgatorio, termina con il Paradiso, mondo di armonia ed equilibrio, di luce e pace, dove  Dante ritrova la pura leggerezza della sua anima senza peccato. Un viaggio lungo, tortuoso che incomincia nel luogo più buio dell’anima per poi uscire «a riveder le stelle».

Questo viaggio immaginario nel regno dei morti, iniziato a trentacinque anni, il venerdì della settimana santa del 1300, è una fotografia in negativo del mondo dei vivi, che il poeta immagina d’intraprendere; un arduo cammino, dopo lo smarrimento morale e intellettuale nella selva. Tutti trovano un fascino e una magia speciale in questo lungo viaggio di attraversamento dal buio alla luce, che è la meta a cui l’animo del poeta tende con tutte le sue forze, ed è questa speranza di poterla raggiungere a sospingerlo nel suo duro cammino.

Nella rappresentazione del suo progressivo avvicinamento dalla «selva oscura» (Inferno I, 2), alla «somma luce» (Paradiso XXXIII, 67) c’è tutto il personale travaglio di Dante/uomo, che riflette universalmente il dramma di una folla sterminata di «perduta gente»  (Inferno III,3). È un viaggio straordinario al centro del quale c’è Dante stesso, protagonista di una storia che simboleggia il cammino di ogni uomo che aspira alla libertà, alla verità (verum) e al bene (bonum).

Ha scritto il giornalista e critico d’arte Giovanni Gazzaneo: «Il viaggio di Dante è il viaggio nell’orizzonte che noi siamo, il nostro essere di terra e di cielo, di polvere e di stelle, di abisso di peccato e di inattesa grazia… Solo un uomo straordinariamente coraggioso e innamorato può scendere nell’abisso delle tenebre del peccato e risalire i cieli della grazia». Il viaggio dal tempo terreno all’eternità indica il fine ultimo dell’uomo che, come creatura, tende a ricongiungersi con Dio, con il creatore.

Il viaggio di Dante non è un’escursione avventurosa nei regni dell’oltremondo, tra diavoli e gerarchie angeliche, in compagnia di personaggi alcuni dei quali indimenticabili protagonisti del suo universo, come Paolo e Francesca, Farinata degli Uberti, il conte  Ugolino  e tanti altri illustri personaggi.

In questo viaggio poetico e spirituale senza tempo,  “storia avventurosa”, Dante ha come compagni di strada e guide sapienti Virgilio (la ragione), Beatrice (la grazia), che lo condurranno a vedere le pene dell’Inferno, l’espiazione del Purgatorio e le gioie del Paradiso, dove sarà guidato da un’anima più degna (Beatrice) essendo precluso al poeta latino, che non ricevette il battesimo, di ascendere al regno di Dio. Al termine del viaggio, inteso come un’affascinate avventura dagli Inferi «a riveder le stelle» si scopre di essere arrivati al centro delle “cose” con un più alto senso di libertà, di dignità e di speranza.

Nella Lettera apostolica Candor lucis aeternae, pubblicata in occasione del VII Centenario della morte di Dante Alighieri, papa Francesco ha scritto: «Dante- proviamo  a farci interpreti della sua voce – non ci chiede di essere semplicemente letto, commentato, studiato, analizzato. Ci chiede piuttosto di essere ascoltato, di essere in certo qual modo imitato, di farci suoi compagni di viaggio, perché anche oggi egli vuole mostrarci quale sia l’itinerario verso la felicità, la via retta per vivere pienamente la nostra umanità, superando le selve oscure in cui perdiamo l’orientamento e la dignità. Il viaggio di Dante e la sua visione della vita oltre la morte non sono semplicemente oggetto di una narrazione, non costituiscono soltanto un evento personale, seppur eccezionale».

La natura del viaggio poetico e drammatico, magistralmente narrato da Dante, è un’invenzione letteraria, un sogno allegorico, è il racconto di una visione, e dunque Dante è un poeta profeta di speranza, un poeta ispirato da Dio? È difficile poter dare una risposta a questo interrogativo, ma certamente è possibile affermare che la Divina Commedia è un grande itinerario, un vero pellegrinaggio di vita e di fede, personale e interiore, un viaggio comunitario, sociale e storico.


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