Intervista a Wainer Preda, autore de ‘Le gocce sul vetro’, un giallo pieno di emozione tra Bergamo e Praga 

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Wainer Preda nella vita è giornalista, ma dopo anni di cronaca ecco arrivato il momento dell’esordio in narrativa. Ed è un esordio di fuoco, perché esce con Mursia e con un romanzo giallo a tinte fosche, che ci porta dalla più profonda e apparentemente compassata provincia italiana come Bergamo fino a una capitale europea tra le più visitate, che è Praga, miscelando con la capacità discorsiva vari temi, incollando gli occhi del lettore alla trama. ‘Le gocce sul vetro’ segna, così, il suo esordio nel panorama della letteratura italiana.

Le letture dell’adolescenza e quelle di oggi. 

Io divento adolescente negli Anni Ottanta, epoca caratterizzata dalla Guerra Fredda e da forti tensioni internazionali. Per cui da ragazzo leggo molta saggistica, soprattutto politica e militare. E poi fumetti d’aviazione, battaglie aeree, commandos, Seconda guerra mondiale. Insomma avventure epiche che un po’ ti rimangono dentro. Poi crescendo impari ad apprezzare il resto. È stato un percorso progressivo che è passato attraverso la fuga nei romanzi della Beat Generation, la fantasia allucinata e distopica di Orwell, i misteri di Coleridge. E poi Clancy, Fleming, Norman Mailer, Arthur Crock. Nel contempo ho riscoperto la letteratura classica, specie quella inglese. Adoro Shakespeare: la profondità di King Lear, l’immanenza oscura di Macbeth, Amleto che mette i brividi e, le confesso, a volte addirittura lacrime d’emozione. “Se questa mia troppo, troppo solida carne si sciogliesse, dissolvendosi in rugiada”: chi potrà più arrivare a simili vette letterarie?

Qual è l’autore/autrice che guarda come una guida. 

Se li analizzi da vicino, tutti ti insegnano qualcosa. Io poi sono una “spugna”, leggo e assorbo qualunque cosa. Tanto che prima di scrivere devo prendermi un paio di mesi senza gialli, per evitare di farmi condizionare dallo stile gli altri.

Il suo stile di scrittura da quando ha cominciato a scrivere a oggi è cambiato?

Si è evoluto, affinato. Mi è sempre piaciuto studiare le tecniche di scrittura, cercando di forgiarne una tutta mia. Provavo e riprovavo lo stesso pezzo in cento modi, applicando tecniche diverse. Alla fine è nato uno stile piuttosto personale. Sincopato, quando serve ritmo alla narrazione. Più morbido, nelle fasi di passaggio. Poi mi piace moltissimo la ricerca della parola giusta. Quella che può accendere nel lettore un’immagine, un’emozione. È un processo lento, anacronistico, forse persino antiquato. Ma capace di sfumature mirabili.

Questo è il suo primo romanzo. Come mai l’esordio così tardi? 

Perché nei venticinque anni precedenti ho fatto il giornalista. Scherzi a parte, il giornalismo è un mestiere che concede poche divagazioni. Soprattutto se non hai staff editoriali giganteschi alle spalle. Poi però arriva un momento della vita in cui senti l’esigenza di metterti in discussione. Di provare una nuova sfida, calcare nuovi territori, vedere se sei all’altezza.

Wainer Preda, giornalista e scrittore.

Lei proviene dal giornalismo, quanto deve alla cronaca nella sua narrazione?

Tutto. La cronaca impone precisione, chiarezza e sintesi. Lo stesso vale per la narrazione. Così come vale un’altra regola fondamentale del giornalismo: ovvero, “non scrivi per te ma per i lettori”. Dunque devi metterti nei panni di chi legge e farti una domanda: cosa arriva di quello che stai scrivendo? Ebbene, io in questo sono maniacale: se la frase non è perfetta, scorrevole, perfino musicale, posso lavorarci sopra anche ore.

Da diversi anni il noir italiano ha sostituito il giornalismo d’inchiesta nel raccontare criticità e storture della società italiana: è una vittoria per la narrativa o una sconfitta per chi è giornalista?

Francamente, non vedo questa contrapposizione. Il racconto giornalistico segue dettami tutti suoi, semplicemente perché è regolato da leggi rigide e severe: controllo delle fonti, veridicità di quanto si va raccontando, continenza del fatto. Dunque non si può spingere più di tanto su territori incerti. La narrativa invece ha spazi di manovra più ampi, se non altro perché si può difendere dietro la fantasia. Sono due cose diverse, che talvolta si toccano. A volte la narrativa pesca a mani basse dall’attualità: mi vengono in mente Pasolini e il suo libro “Petrolio”. Ma ci sono anche casi in cui la narrativa, con grande intuizione, anticipa il giornalismo. È accaduto per esempio con “Il Mostro di Milano” di Fabrizio Carcano.

Quanto è importante il ‘nero’ nella storia della narrazione italiana?

Il noir è molto cambiato rispetto alle origini ma, pur nelle sue diverse sfaccettature, sta vivendo un periodo di grande spolvero. I titoli sono molti e il pubblico si sta allargando. Ci sono autori molto quotati. Altri meno, ma magari altrettanto bravi. Questo perché, dalla metà del secolo scorso, i canoni letterari si sono fatti meno rigidi. Dal poliziesco alla francese al nero metropolitano, passando per il gotico inglese, sono cominciate le contaminazioni e sono nati nuovi sottogeneri. È il segno di un’evoluzione continua. “Le gocce sul vetro”, per esempio, è un thriller nella trama e nell’intelaiatura ma, stando a quanto dicono i lettori, quasi “poetico” nelle descrizioni. Vede, non siamo più a Doyle che si faceva ossessionare da Sherlock perché il pubblico gli chiedeva solo e solamente Holmes e guai a sgarrare. Il noir in realtà oggi è una moltitudine di sfumature. Spesso anche di qualità.

Nel suo romanzo Bergamo e Praga si incrociano. Un comun denominatore e una differenza tra queste due città. E perché la scelta su di loro per ambientare la sua storia. 

Beh, sono accomunate dal fascino, dalla bellezza, dall’aura di mistero che dona loro la Storia. Tutti elementi fondamentali dentro “Le gocce sul vetro”. Sembrano due città sospese in un altro tempo. Le ho scelte perché le conosco bene e ne sono innamorato. Sapevo che, se mi fosse servita una determinata atmosfera, lì, magari in qualche angolo nascosto, l’avrei trovata.

Come sceglie i protagonisti che animano il suo romanzo?

Osservando le persone ogni giorno. Cerco di costruire dei characters, che prendono spunto dalla vita reale. Aggiungendo sfumature, mescolando i tratti. Questo rende i personaggi più familiari. Ognuno si può riconoscere in almeno una delle loro caratteristiche.

Il suo romanzo “Le gocce sul vetro” mischia calcio, speleologia, tormentate storie d’amore, segreti sepolti della guerra, indagine e cronaca: ti senti più cronista di nera o architetto delle trame narrative? 

Devi essere l’uno e l’altro. “Le gocce sul vetro” ha una trama di pura fantasia incastonata in un contesto reale. Nella fattispecie quello di una città di provincia con le sue mille passioni. Per questo sullo sfondo si muove il calcio, si muovono le storie d’amore, i vizi e le virtù. Ci sono atmosfere e ambienti che i lettori possono riconoscere facilmente o solo anche immaginare. Il cronista emerge dai racconti sulla vita quotidiana e dall’inchiesta del protagonista. Ma prima, a monte, c’è stato un duro lavoro di architettura narrativa, per far sì che la storia reggesse in ogni suo punto.

Come nasce la figura del giornalista Walter Torriani, protagonista in ‘Le gocce sul vetro’?

È inutile negare che ogni autore attribuisce al protagonista un po’ di sé stesso. Tuttavia non si tratta di un personaggio autobiografico. Torriani è una figura quasi epica, d’altri tempi. Piena di coraggio, passione, forza d’animo e sentimenti nascosti sotto uno scudo impenetrabile. È un misto di logos e pathos, di razionale e irrazionale. Ovviamente gli ho aggiunto qualche debolezza che lo rende più umano. Anche se, in questi tempi grami e confusi, ci servirebbero tanto gli eroi.

Il giallo italiano come è cambiato nel corso del tempo?

Credo che ormai sia “sdoganato”. Per molto tempo è stato considerato un genere di serie b: “Da leggere durante un viaggio in treno”, si diceva. Eppure la sua popolarità non ha mai subìto cadute. Segno che tra gli italiani e il genere c’è un legame culturale e affettivo molto forte. Nel contempo, gli autori e le trame sono usciti dai confini tradizionali per allargarsi al noir, allo storico, al legal thriller, al mistery, al fantasy, all’esoterico. Tutte contaminazioni che, molto probabilmente, permetteranno al giallo di sopravvivere e prosperare anche negli anni a venire. Insomma, lunga vita al giallo.

 


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