Le altre opere di Dante

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Tanto gentile e tanto onesta pare/ la donna mia quand’ella altrui saluta,/ ch’ogne lingua deven tremando muta,/e li occhi no l’ardiscon di guardare.  Vita Nuova

La «Vita nova»

La Vita Nova è la storia ideale dell’amore di Dante per Beatrice. Il poeta racconta di averla vista la prima volta a nove anni e gli apparve come una «angiola giovanissima» e di essere andato poi più volte per incontrarla. Nove anni dopo, nel giorno del nono anniversario del primo incontro, Beatrice gli apparve «vestita di colore bianchissimo» e lo salutò lasciandolo smarrito e «come inebriato».

Il libro, raccolta di poesie e prose che formano il romanzo giovanile dell’amore di  Dante, contiene trentuno poesie selezionate dal poeta, precedute ciascuna da una parte narrativa che ne racconta la genesi e spesso seguite da una parte esegetica che le spiega.                                25 sonetti, 4 canzoni, una stanza e una ballata; queste rime sono collegate da prose (per complessivi 42 capitoli) che indicano le circostanze  in cui le varie rime nacquero e i motivi della loro ispirazione.

Famosi sono i versi della prima delle grandi canzoni «Donne ch’avete intelletto d’amore/I’ vo’ con voi de la mia donna dire», e dei sonetti «Tanto gentil e tanto onesta pare» e «Vede perfettamente onne salute» che, esaltando la bellezza di Beatrice, ne mettono soprattutto in risalto, secondo il gusto stilnovistico, le qualità morali e la funzione salvifica.

Il titolo allude non soltanto all’inizio di una nuova stagione nella vita di Dante (vita nova significa giovinezza) ma anche e soprattutto al rinnovamento spirituale, determinato dall’esperienza dell’amore per Beatrice.

Per comprendere la Vita Nova è necessario inquadrare quest’opera giovanile, in prosa e in versi, nell’ambito letterario, aristocratico e raffinato dello stil nuovo. Le sue rime costituiscono una prima straordinaria innovazione di un Dante non ancora trentenne. Dante,  ispirandosi all’ideale di arte dotta dei poeti stilnovisti, non ha raccontato la sua vita nell’immediatezza autobiografica, ma ha voluto descrivere e narrare la sua vicenda d’amore come una storia  umana generale, assoluta quasi filosofica. Il suo romanzo d’amore, che sta di mezzo tra la vita e la letteratura, tra la poesia e la scienza psicologica, è un’opera complessa e multiforme che è apparsa ad alcuni critici artificiosa, immatura ed acerba e certamente distaccata rispetto alla Commedia..

Convivio

Tra il 1304 e il 1306 Dante scrisse questa opera in volgare di vario e complesso disegno durante il suo soggiorno in Lunigiana. Doveva comprendere 15 trattati in forma di commento dei quali uno introduttivo, e gli altri 14 dedicati a offrire l’interpretazione letteraria e allegorica di altrettante canzoni «sì d’amore come di virtù materiale». L’opera in volgare composta di prose e rime, rimasta però incompiuta in 4 trattati, uno di proemio e tre di commento alle canzoni, risulta una raccolta di brevi trattazioni scientifiche, filosofiche, morali, storiche e teologiche.

Il Convivio, trattato filosofico nel quale Dante si presenta come autoesegeta e commentatore di se stesso, è un saggio «sulla bellezza, sull’essere e sul divenire» e ha per argomento «il secondo amore» di Dante la filosofia «come amore della sapienza soprattutto nella mente divina, e anzi in quanto costitutiva della mente divina»

De vulgarti eloquentia

Presumibilmente fu la prima opera composta dopo l’esilio, che rimase interrotta al capitolo XIV del II libro.  È un trattato di retorica, scritto in lingua latina, in cui il poeta cerca, al di sopra delle parlate locali, i principi universali del linguaggio poetico. Il volgare italico diventa oggetto dello studio scientifico di Dante. Il volgare illustre per lui è la lingua dei poeti colti e raffinati quale si è venuta formando a poco a poco attraverso le esperienze della scuola siciliana, degli altri poeti eccellenti di ogni regione e soprattutto del Guinizzelli e degli scrittori toscani e del «dolce stil nuovo», lingua letterariamente elaborata, ripulita è limpida e compiuta.

De Monarchia

È un’opera compiuta fra le operette dottrinali di Dante, profondamente meditata e costruita con rigore logico nel complesso e nelle singole parti, quella che rispecchia un’intensa e vasta preparazione filosofica e una presa ben chiara di posizione politica. Dante esprime le sue idee politiche in rapporto anche alla discesa dell’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo, delinea alcune soluzioni alle ruine d’Italia.                           

Nel primo libro dimostra che la monarchia universale è necessario al benessere del mondo perché assicura uno stato di giustizia e di pace e permette il conseguimento del supremo fine terreno del genere umano. Egli si preoccupa di difendere l’Impero nel confronti delle pretese del papato. Queste due istituzioni mirano a scopi diversi; l’Impero al bene da conseguirsi su questa terra; la Chiesa alla beatitudine celeste. Pertanto, le due istituzioni sono irriducibili l’una all’altra. Ma se si vuole discutere del primato di una delle due, allora, considerato che solo l’Impero può assicurare la pace e la giustizia, il primato spetta all’imperatore.

Nel secondo libro sostiene che il popolo romano si è attribuito l’ufficio dell’impero. Nel terzo ed ultimo libro afferma che la monarchia temporale deriva e dipende da Dio immediatamente e non dal suo vicario nel mondo. In questo concetto nuovo e audace Dante sostiene l’autonomia del fine naturale dell’uomo (che è l’abitudine di questa di questa vita, cioè la perfezione della moralità sorretta dagli insegnamenti della filosofia) rispetto a quello soprannaturale (che è la felicità eterna alla quale l’uomo è guidato dalla rivelazione divina), e quindi l’autonomia della ragione rispetto alla fede, dell’Impero rispetto alla Chiesa. Le idee espresse in quest’opera, in cui Dante elabora il suo la sua visione politica,  ha un’enorme importanza per la comprensione dell’intera opera del poeta e in particolare della Commedia.

Epistole

Tredici sono le Epistole giunte fino a noi. Famose sono le tre scritte in occasione della discesa in Italia di Arrigo VII, animate dallo spirito profetico che si ritrova nelle pagine del maggior poema. Bellissima quella indirizzata ai cardinali italiani, dopo la morte di Clemente V, per esortarli ad eleggere un papa italiano che restituisse a Roma la sede del pontificato. In questa lettera scritta con un spirito biblico e metaforico, il problema politico e quello religioso s’intrecciano; non solo è invocato il ritorno dei papi a Roma, ma è invocata la loro pacifica collaborazione con l’impero, perché le due potestà hanno pari dignità ed eguaglianza.

 


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