Le donne di Dante: Beatrice

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Sovra candido vel cinta d’uliva/ donna m’apparve, sotto verde manto/vestita di color di fiamma viva…sanza de li occhi aver più conoscenza,/ per occulta virtù che da lei mosse,/ d’antico amor sentì la gran potenza.                                                                                    Purgatorio, canto XXX (30, 33  – 37,39)

L’universo femminile di Dante, autore fondativo della letteratura italiana e della nostra identità nazionale, è ricco di personaggi indimenticabili, di figure leggiadre che, ancora oggi, ci restituiscono forti emozioni, universali sentimenti di affetto, passioni e umanità. In molti versi densi di tenerezza della Divina Commedia, Dante manifesta una eccezionale sensibilità verso la grazia e la gentilezza delle donne e così tratteggia nelle tre cantiche profili di donne memorabili che sarebbero destinate all’oblio se non fossero state eternate dai suoi versi.

La Beatrice della Commedia è considerata da alcuni studiosi uno dei personaggi più originali e straordinari della letteratura mondiale. Per Dante fu un laboratorio di poesia come scrive nel XXX canto (28-33) del Paradiso: «Dal primo giorno ch’i vidi il suo viso/in questa vita, infino a questa vista,/ non m’è il seguir al mio cantar preciso;/ma or convien che mio seguir desista/più dietro a sua bellezza, poetando,/ come a l’ultimo suo ciascuno artista».

Beatrice, «angiola giovanissima», figlia di Folco Portinari, guelfo legato alla parte bianca, guidata dalla casata dei Cerchi, è ritenuta la musa immortalata da Dante prima nella Vita Nuova (1292) e poi nella Divina Commedia. È la donna-schermo alla quale Dante finge di rivolgere le sue attenzioni nella prima parte della Vita nuova; la donna gentile che lo tenta nel finale del libro; la donna pietra che ispira una piccola serie di canzoni dette “petrose”.

Beatrice «donna angelo» che ispirò le opere giovanili di Dante, e non solo, fu un punto fisso della nostalgia del poeta che nella Commedia incontra per la prima volta nel Purgatorio e rivede soltanto nel XXX canto del Paradiso. In questa ultima cantica il sommo poeta, mentre assisteva a una processione con carri e canti di lode, circondato da angeli e anime pie, vide una donna  con un velo bianco sulla testa, una corona d’ulivo, una veste rossa e un manto verde.

Secondo il dantista Massimo Seriacopi «i colori indossati da Beatrice sono un’allegoria delle virtù teologali: il bianco della fede, il rosso della carità e il verde della speranza, ai quali si somma la sapienza simboleggiata dall’ulivo, pianta sacra a Minerva».

Beatrice e Dante si sono conosciuti giovanissimi. Il poeta vide per la prima volta Beatrice, bella e misteriosa dai «belli occhi», quando entrambi avevano nove anni e da quel giorno nacque un amore che divenne un culto al quale Dante consacrerà tutti i suoi pensieri. L’affetto, che Dante nutrì per la giovinetta, non venne meno neanche quando Beatrice sposò Portinari e quando morì a venticinque anni. Dante la pianse giurando che sarebbe vissuta eternamente nel suo ricordo e nella memoria di tutti gli uomini che la conobbero.

Beatrice è la donna idealizzata nel più puro e disinteressato degli amori, una creazione del cuore. Di lei scrisse questi  bellissimi versi: «Tu m’hai di servo tratto a libertade/ per tutte quelle vie, per tutt’i modi /che di ciò fare avei la potestate» (Paradiso, canto XXXI, 85-87).

Bella e perfetta la giovane fiorentina, nella Divina Commedia, fu idealizzata a tal punto da non sembrare più una donna: divenne l’ideale stesso, la personificazione in un solo essere di tutto ciò che c’è di bello, di vero e di buono in una creatura umana.

Dante, seguendo ciò che aveva scritto Platone, nutre la speranza di arrivare a contemplare la bellezza divina accompagnato dalla bellezza di Beatrice che, dopo averlo sorretto nel retto cammino con il fascino della sua bellezza terrestre, lo sorreggerà ancora con la bellezza nascosta della sua anima. Infatti, quando Dante arriva in Paradiso, sente cantare intorno a lui: «la seconda bellezza che tu cele» (Purgatorio canto XXXI,138).         Ma Dante è poeta, più ancora che filosofo, e confessa che quando la vista della «donna bella e beata» gli è stata portata via, si è lasciato portare fuori dalla retta via: «Le presenti cose/col falso lor piacer volser miei passi/ tosto che ‘l vostro viso si nascose» (Purgatorio canto XXXI, 34,36). Allora Beatrice gli rivolse malinconici rimproveri nei quali si avvertiva il ricordo compiaciuto dei giorni vissuti sulla terra durante i quali lei poteva offrire, alla contemplazione del poeta, il suo viso puro.

Ma Beatrice, «colei che dona beatitudine», a cui è stato assegnato un ruolo salvifico, è anche l’incarnazione della Fede e la personificazione della Teologia nei confronti della quale Dante dirige tutti gli ardori del suo spirito. Per arrivare alla conoscenza e al possesso di Dio, secondo l’idea cristiana, la sola via, secondo la filosofia scolastica, è la Teologia.

Dante, assumendo Beatrice come guida nella vita e nel  suo poema, riunisce in lei i mezzi naturali e soprannaturali che sono offerti all’uomo per raggiungere «la Potenza divina, la Saggezza suprema e l’Amore primordiale». Beatrice accompagna, rimprovera ma anche incoraggia Dante a salire in alto per raggiungere con lei la bellezza e la grazia del Paradiso

Il poeta Gabriele Rossetti ritiene che Beatrice, figura cruciale della poesia dantesca, non sia mai esistita, che sia solo l’eroina, creata del tutto, di un meraviglioso poema, e che è stata cantata senza essere mai vissuta. Comunque Beatrice è un personaggio indimenticabile, e rimane, «l’antica fiamma», la fresca creatura d’amore di Dante.

 

 


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