Le donne di Dante: Pia dei Tolomei

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Pia de’ Tolomei       

«Deh, quando tu sarai tornato al mondo/e riposato de la lunga via,» seguitò ‘l terzo spirito al secondo,   /«ricorditi di me, che son la Pia;/Siena mi fé, disfecemi Maremma/: salsi colui che ‘nnanellata pria/ disposando m’avea con la sua gemma»                                                                 Purgatorio, Canto V, vv. 130 -136)

Nell’universo poetico di Dante Alighieri s’incontrano straordinarie figure di donne indimenticabili per il loro profilo e le loro particolari storie di vita. Nella Divina Commedia diverse sono le donne idealizzate o descritte o cantate nei versi del poema. Alcune, come Beatrice, Francesca, grandi protagoniste della Commedia, hanno un ruolo di primissimo piano, altre, come Pia dei Tolomei, Didone, Aracne appaiono, in secondo piano, e non sono meno importanti e indelebili nell’immaginario dei lettori.

Nei pochi versi, riportati in esergo, Dante presenta telegraficamente la timida e quieta Pia, donna chiusa in se stessa, che attende il suo turno per parlare e presentarsi al poeta. Sono bastati sette versi di straordinaria dolcezza a fissare questa figura, fragile e delicata,  nella memoria del mondo per gli ultimi settecento anni.

La storia di Pia rimane sfumata e allusiva; si sa poco e niente di lei. In un attimo, in maniera sbrigativa, Pia riesce a comunicare il suo amore per la natia Siena, dove forse visse in maniera spensierata, e l’orrore per la selvaggia Maremma, dove andò sposa.

Dante, nel suo viaggio ultraterreno, insieme a Virgilio, incontra nel V canto del Purgatorio, questo personaggio nella seconda balza, dove si trovano le anime dei negligenti morti di morte violenta che ebbero poco tempo per pentirsi, tra i quali Iacopo del Cassero e Buonconte da Montefeltro e altri, condannati a ritardare nell’Antipurgatorio l’espiazione delle loro colpe per un tempo pari a quello della loro vita.

La vicenda umana di Pia dei Tolomei rimane oscura, scrive l’italianista Marco Santagata, ma è proprio «dalla condensazione, dall’indeterminatezza, in una parola dal mistero da cui è avvolta» che matura la sua carica emotiva.

Secondo una tradizione raccolta dagli antichi commentatori, questo delicato e raffinato personaggio femminile fu moglie del podestà di Volterra, Nello d’Inghiramo dei Pannocchieschi, signore del castello della Pietra nella Maremma, capitano della taglia guelfa nel 1284 e ancora vivente nel 1322.

La “soave” Pia, che discendeva dalla famiglia dei Tolomei, fu uccisa dal marito probabilmente per vendicare infedeltà o per poter sposare Margherita Aldobrandeschi, quando nel 1297 fu legalmente sciolto il matrimonio di questa donna con Loffredo Caetani, nipote del papa Bonifacio VIII.

Pia con le sue stringate parole si sofferma su questo matrimonio e accusa con calma e fermezza, senza rancore, il marito responsabile della sua uccisione.

La studiosa Elena Lombardi, ordinario di Letteratura italiana e fellov del Balliol College presso la Oxford University, ha scritto che Pia de’ Tolomei può essere racchiusa in quel Deh, «una parola-silenzio che mette in relazione il parlante con l’ascoltatore, che lega entrambi in un momento sospeso. Un suono delicatissimo che riempie il silenzio e porta con sé traccia sonora della finezza di questa donna».

Inevitabile, per molti studiosi e commentatori di Dante, è il paragone  che viene fatto tra la senese Pia dei Tolomei e Francesca da Rimini; entrambe vittime della violenza dei loro mariti. Le due donne però sono sottoposte ad una pena decisamente diversa. Infatti Pia, pentitasi in punto di morte per le proprie colpe, è destinata alla salvezza, Francesca, non pentitasi e ancora presa dal «piacer sì forte» per il suo amante, il cognato Paolo, è destinata alla dannazione eterna.


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