L’obiezione di coscienza è conseguente all’idea di libertà?

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L’obiezione di coscienza è il diniego di rispettare una legge dello Stato ritenuta iniqua, in quanto in contrasto con un’altra legge fondamentale dell’uomo, così come è percepita dalla coscienza. Il primo esempio di obiezione di coscienza, che mette in risalto l’antitesi tra il dovere umano imposto dalla legge degli dei, e quindi derivante dalla coscienza, e il dovere imposto dalla legge degli uomini, fu descritto saggiamente e sagacemente dal tragediografo greco Sofocle (496-406 a.C.) nella tragedia “Antigone” (raffigurata nel dipinto di Frederich Leighton, XIX secolo), rappresentata ad Atene nel 442 a.C. Antigone (che in greco antico significa nata contro) è la donna che esplicita, per prima nella storia, l’obiezione di coscienza contro l’ordinamento giuridico della città di Tebe, di cui è sovrano lo zio Creonte. Costui, infatti, impedisce con un proclama la sepoltura in città del fratello Polinice, accusato di tradimento. Antigone recupera il corpo di Polinice fuori dalle mura e lo porta dentro la città dove lo seppellisce, ma paga con la morte questa sua disubbidienza. Sofocle, infatti, in questa tragedia descrive l’atto di Antigone che realizza la sua libertà di coscienza, soprattutto perché la coscienza non può essere gestita, essendo un’entità irrefrenabile che esprime pienamente la legge morale che è dentro ciascuno di noi (I. Kant). La libertà di coscienza è contenuta nell’idea di libertà che possiede chiunque commetta un’azione autonomamente avulsa da ogni impedimento esterno o imposizione.

Dall’Enciclopedia Treccani si ricava che Il termine greco ἰδέα entrò nel linguaggio filosofico già con Democrito, che designò con esso l’atomo. Ma la sua grande fortuna derivò dall’uso che ne fece Platone.᾿Ιδέαι o εἴδη furono per lui le uniche vere realtà eterne, fuori del tempo e dello spazio, oggetto di scienza, contrapposte al mondo sensibile che di quelle è pallida immagine. Tale aspetto formale e obiettivo dell’idea platonica si accentuò nella stessa critica aristotelica, che ridusse l’εἶδος a pura forma della concreta individualità, e si perpetuò sostanzialmente in tutto il pensiero del Medioevo, pur attraverso le polemiche dei realisti e dei nominalisti. Nell’età moderna il termine idea è venuto invece assumendo sempre più quel significato di entità mentale, di contenuto del pensiero, che poi gli è rimasto anche nella sua accezione più comune.

Dopo circa 24 secoli “la legge degli uomini è stata equiparata alla legge degli dei” tant’è che l’art. 10 – Libertà di pensiero, di coscienza e di religione – della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce che ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. … E anche la Consulta ha dichiarato che, a livello della Costituzione italiana, “la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all’uomo come singolo, ai sensi dell’art. 2”, il quale stabilisce che La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Il filosofo tedesco Hans Blumenberg (1920 – 1996) nel saggio “Teoria dell’inconcettualità” (:duepunti edizioni, 2010) sostiene che della libertà non abbiamo alcun concetto perché non abbiamo regole di formazione delle parole da restituire con precisione l’espressione “libertà”. Essa può essere riconosciuta come un necessario presupposto della ragione. … Kant dice espressamente che … «la libertà non può essere mostrata attraverso esempi e analogie». Che l’uso dell’espressione “libertà” sia indispensabile lo si evince dal fatto che essa è un presupposto necessario della ragione. E ciò rafforza dicendo che la libertà non è un concetto ma un’idea. E ciò nonostante non vorrei tacere la definizione di libertà data da Goethe di fronte al cancelliere von Müller il 20 giugno 1827:«La libertà non è null’altro che la possibilità di fare la cosa più razionale rispetto a tutte le altre condizioni». E questo corrisponde all’accezione di Kant.

Francesco Giuliano


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Giuliano Francesco, siciliano d’origine ma latinense d’adozione, ha una laurea magistrale in Chimica conseguita all’Università di Catania dopo la maturità classica presso il Liceo Gorgia di Lentini. Già docente di Chimica e Tecnologie Chimiche negli istituti statali, Supervisore di tirocinio e docente a contratto di Didattica della chimica presso la SSIS dell’Università RomaTre, cogliendo i “difetti” della scuola italiana, si fa fautore della Terza cultura, movimento internazionale che tende ad unificare la cultura umanistica con quella scientifica. È autore di diversi romanzi: I sassi di Kasmenai (Ed. Il foglio,2008), Come fumo nell’aria (Prospettiva ed.,2010), Il cercatore di tramonti (Ed. Il foglio,2011), L’intrepido alchimista (romanzo storico - Sensoinverso ed.,2014), Sulle ali dell’immaginazione (NarrativAracne, 2016, per il quale ottiene il Premio Internazionale Magna Grecia 2017), La ricerca (NarrativAracne – ContempoRagni,2018), Sul sentiero dell’origano selvatico (NarrativAracne – Ragno Riflesso, 2020). È anche autore di libri di poesie: M’accorsi d’amarti (2014), Quando bellezza m’appare (2015), Ragione e Sentimento (2016), Voglio lasciare traccia (2017), Tra albori e crepuscoli (2018), Parlar vorrei con te (2019), Migra il pensiero mio (2020), selezionati ed editi tutti dalla Libreria Editrice Urso. Pubblica recensioni di film e articoli scientifici in riviste cartacee CnS-La Chimica nella Scuola (SCI), in la Chimica e l’Industria (SCI) e in Scienze e Ricerche (A. I. L.). Membro del Comitato Scientifico del Primo Premio Nazionale di Editoria Universitaria, è anche componente della Giuria di Sala del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica 2018 e 2019/Giacarlo Dosi. Ha ricevuto il Premio Internazionale Magna Grecia 2017 (Letteratura scientifica) per il romanzo Sulle ali dell’immaginazione, Aracne – NarrativAracne (2016).