LATINA – Testimone poco collaborativo quello che si è pesentato davanti alla Corte d’Assise all’udienza del processo per l’omicidio di Massimiliano Moro. Il presidente Gian Luca SOana lo ha persino ricordato che rischiava di essere indagato per falsa testimonianza.

Il testimone in questione nel 2011 era stato vittima di Ciarelli e Pradissitto i quali gli avevano prestato alcuni assegni, fatto questo non confermato. Fin dall’inizio dell’esame da parte del pubblico ministero si è mostrato reticente a rispondere, dicendo che aveva mal di denti e quindi difficoltà a risopndere. Nonostante le varie testimonianze ha dichiarato di non conoscere Valentina Ciarelli, moglie di Pradissitto e quando gli hanno ricordato che all’epoca aveva riferito il contrario ha risposto: “Perché quando l’ho detto ero ubriaco”.

La seduta si è conclusa con l’audzione del pentito Renato Pugliese per omicidio premeditato aggravato da motivi abietti e con l’aggravante di aver agito con metodo mafioso. Il figlio di Costantino Cha Cha Di Silvio ha risposto per un’ora ricostruendo i suoi rapporti con Massimiliano Moro, per il quale all’epoca lavorava, e ha riferito come il cugino Giuseppe Pasquale Di Silvio, figlio di Armando Lallà, gli avesse raccontato che ad uccidere Moro nel gennaio 2010 in piena guerra criminale erano stati gli attuali imputati.

Il processo è stato aggiornato al 27 marzo prossimo quando saranno ascoltati dal pm altri due collaboratori di giustizia, Agostino Riccardo e Andrea Pradissitto.


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