Cafè literario Todo o Mundo è Brasileiro

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Edizione. Maggio/ Giugno 2021
Giornalista, Federica Calvo

Paulo Prado

Nel mensile passato abbiamo visto la figura di Euclide e parlato della sua opera “Os Sertoes” cercando di fare una panoramica generale sugli argomenti trattati e decifrando perché la sua produzione finisce sempre per essere citata come uno dei testi di riferimento per la comprensione del nostro Paese. Pertanto, non poteva naturalmente scappare qui al “Café Literário Todo O Mundo è Brasileiro”. Continuiamo a tracciare la linea dei grandi autori fondamentali per le radici della formazione della nostra magica terra con uno degli altri grandi pionieri della letteratura brasiliana, questo mese è il turno dell’intellettuale Paulo Prado (1869-1943). Il protagonista che ci accompagna per questo Aprile appartiene alla “generazione del 1870 della letteratura portoghese” di cui abbiamo già affrontato nel mensile N.7 -Maggio 2020- con la figura del giornalista e diplomata José Maria Eça de Queirós. I temi principali affrontati dal famoso circolo avranno importanza nell’argomentazione delle opere dell’autore in questione, specialmente il tema della decadenza portoghese a contatto con il movimento modernista brasiliano nell’ottica di una promozione di una rottura completa con il passato.

Facendo un passo indietro nella storia personale di Prado, scopriamo che nacque da una famiglia di coltivatori di caffè di San Paolo e, dopo aver concluso la laurea in Diritto e viaggiato per l’Europa, ritornò in Brasile per partecipare alla Settimana di Arte di Moderna del 1922 in cui pubblicò una collezione di documenti coloniali chiamata “Serie Eduardo Prado per conoscere meglio il Brasile”. Al lato della sua intensa attività come editore, organizzatore, mecenate e sviluppatore di arte moderna, egli è autore di due libri sull’aspetto sociale e culturale del Brasile a partire dall’esperienza coloniale, entrambi pubblicati nel momento di maturità: Paulística: história de São Paulo (1925) e Retrato do Brasil: ensaio sobre a tristeza brasileira (1928). E’ l’ultimo il soggetto su cui la nostra lente si ferma questo mese dato che il saggio rappresenta un’immagine interessante nella storia del pensiero sociale del Brasile raccontata attraverso lo stile narrativo personale simile a quello di un pittore. Infatti, l’esperienza vicino al mondo dell’arte avrà influenza sul modo di comporre dell’autore e il Ritratto ne è la dimostrazione dal momento che è fatto della stessa tecnica di un quadro impressionista. Tinte soggettive e dettagli di aspetti sensoriali e sensazioni sulla natura rappresentano la fonte principale di ispirazione dei sentimenti dell’autore di cui il saggio è caricato. Al contrario, non c’è spazio per il realismo e i protocolli di scientificità, a tal punto che, l’autore finisce per essere il suo “stesso colore della fonte”, considerando la tendenza a omettere le citazioni. La capacità dell’autore di dare enfasi alle emozioni che devono essere interpretate come rappresentazioni mentali dell’ “avvenimento”, ovvero del presente, costituisce il suo potere di entrare in relazione con la psicologia interna degli abitanti che sono attratti da sentimenti tirannici. Di fatto, i capitoli che costituiscono il Ritratto, “La Lussuria” e “La Cupidigia”, riportano il nome dei sentimenti sollecitati da suoni e colori della natura che viene esplicitamente associata al Paradiso e chiamata anche “Splendore della Natura”. Quindi, lo stile narrativo-emotivo di Prado è particolare nel descrivere la nuova modalità avventuriera di colonizzazione di medio termine e, nonostante sia soggettivo, allo stesso tempo rimane oggettivo nel catturare l’anima dei colonizzatori, spinti da passioni materiali  derivanti dalle conquiste precedenti dell’Africa e dell’Asia. In questo senso è possibile cogliere il modernismo di Paulo Prado. Moderno in quanto nello stile di raccontare in profondità la psicologia dei personaggi, le emozioni collettive e l’impulso primario di arricchimento rapido che sbranò il territorio del Brasile al contrario, appunto, del desiderio dannato/ innato che è vecchio come l’uomo  di cui è accompagnato quotidianamente.

L’ultimo capitolo, “La Tristezza”, rappresenta il sentimento di permanente insoddisfazione a causa all’instabilità del ciclo di entusiasmo e depressione derivato dall’eccesso di passioni materiali che devastarono le risorse naturali. Questa sentimento sarà superato con il sorgere di un altro molte forte, ossia l’appartenenza allo stesso territorio durante la lotta di indipendenza dagli invasori olandesi in cui la volontà di essere indipendenti e il sentimento di natività vinsero finalmente sulla tendenza transoceanica. Prado spiega il processo di decostruzione del “Mozombismo”, ovvero il sentimento di inferiorità in relazione al Reino e il conseguente disamore per la terra del Brasile  vista ormai solo come un luogo di passaggio, perfetta la metafora del Purgatorio che usa. Tuttavia, il letterato spiega la persistenza del complesso di inferiorità nei confronti della Francia e dell’Inghilterra e l’insicurezza di collocarsi come nazione nello scenario, insicurezza che venne sconfitta solo con la vittoria della prima coppa del mondo nel 1958. E’ interessante vedere come Paulo Prado traccia come filo conduttore della sua opera esattamente il tema della fragilità del sentimento nazionale e la riflessione sul Brasile come nazione. Di fatto, il concetto di nazione fu affrontato dall’intellettuale paulista come principio spirituale costruito lungo il corso del tempo di cui, il Brasile di quel tempo, non riusciva ancora a sperimentare essendo ancora immaturo come un “bambino ammalato senza progetto e futuro a lungo termine” (P. Prado).

Un’altra correlazione che emerge come moderna nell’opera dello scrittore paulista è il parallelismo tra il Brasile e gli Stati Uniti poiché entrambi avevano un passato coloniale e un’esperienza di schiavitù ma, alla fine, cammini differenti. Gli Stati Uniti finirono per essere un’enorme potenza coloniale fondata sul valore del lavoro capace di disciplinare l’individuo e plasmarlo nella cellula iniziale dell’insediamento. Allo stesso modo la caratteristica figura del “self man” ancora oggi ben descrive l’uomo americano e apparteneva igualmente alla mito del “bandeirante paulista” esposto como un eroe. Il movimento paulista di fatto era moderno nella prospettiva che già costituiva la locomotiva della nazione per l’avanzo economico, l’influenza politica e progetti culturali.

Quindi, cari nostri lettori, il modernismo di Paulo Prado si trova nei vari toni delle pennellate del Ritratto e, principalmente, nella permanente tensione tra tradizione e modernità, tra passato e futuro. Allo stesso modo, la forte posizione dell’autore nell’appoggiare la necessità di rifondare l’esperienza della storia nazionale attraverso la rinnovazione totale è rivelatrice della sua visione moderna che risulta essere importante per una profonda comprensione del nostro territorio brasiliano.

Sérgio Buarque de Holanda.

Cari nostri lettori, benvenuti nel mensile di giugno 2021. Continuiamo a camminare insieme sul percorso di libri che hanno importanza per la comprensione di un Brasile unito per un piano comune (non esattamente i tempi di oggi paradossalmente) e che ci porta fino alla sua modernizzazione. Questa volta useremo una prospettiva contraria esplorando quali sono i punti di distanza per raggiungere uno stato di modernità con ancora un altro paulista come protagonista, l’autore Sergio Buarque de Holanda (1902-1982). Lo scrittore brasiliano scrisse il saggio “Radici del Brasile” nel 1936 contenente un’analisi riguardo la difficoltà di attingere alla modernità per causa di un forte aspetto tradizionale radicalizzato nella cultura della Paese. La forte capacità di analisi sociale e intellettuale di Buarque è il risultato della completa immersione nella cultura tedesca di cui apprese gli strumenti, come la lente sociologia weberiana usata per vedere e interpretare il cambiamento del proprio paese.

Al lettore attento non può sfuggire che l’obiettivo finale è svelare un Brasile diverso dal risultato della tradizione iberica e coloniale in quanto il diagnostico dell’opera rivela la necessità di annichilire l’eredità iberica affinchè il Brasile entrasse nella modernità. Per questo, due tracce antagoniste cotruscuiscono il saggio, “modernità” e “nostro tradizionalismo” di cui l’ultimo è un congiunto di argomenti che portano la genesi del concetto di cordialità, il termine usato per definire l’attitudine della gente iberica. L’autore  paulista racconta il tratto della persona iberica come “cordiale”, ovvero fatto di impulsi del cuore, influenze della famiglia patriarcale che implicano desiderio di intimità, relazioni affettive sviluppate attraverso l’ambiente rurale e repulsioni per le regole universali, tutti elementi che impedirono lo sviluppo della civilizzazione. Pertanto è interessante vedere come Sergio Buarque riuscì a capire l’essenza della psicologia dell’uomo iberico poiché scoprì il suo fondo emotivo che era composto di emozioni transbordanti dovute allo “spazio per la cultura della personalità”. Di fatto, ogni persona umana nella società dell’Europa prima dei Pirenei aveva valore individuale e autonomia propria e l’immanenza che importa era quella conquista durante la vita rispetto a quella ereditata. Questo portò all’ascensione dell’individualismo tenedente all’anarchia e al disordine e, di fatto, alla difficoltà di consolidazione di una cultura associativa per l’assenza di preoccupazioni come bene comune. La variabile alla base del saggio indicata  in conseguenza di tutte le ripercussioni è il feudalismo timido in comparazione al resto dell’Europa che impedì il radicamento di una struttura gerarchica rigida. In più, un altro fattore decisivo individuato è l’assenza di una riforma protestante in Spagna e Portogallo in favore di una riforma cattolica. Infatti, la mancanza di un ordine di sé stessi e la priorità per l’interiorità e la soggettività non permisero lo sviluppo di una morale fondata sul culto del lavoro ma agevolarono una società fondata sulla logica dell’uomo avventuriero che rovina e consuma la terra. La vita dei popoli iberici era ancora lontana dall’essere razionale e, quindi, ancora lontana dal sistema capitalista. Per via dell’attitudine evidenziata, unita all’ipertrofia della famiglia patriarcale nell’universo rurale, la cultura iberica si poneva in una posizione di antagonismo al comportamento politico moderno e al trionfo delle idee moderne e universali. Per questo personalismo e libero arbitrio sono i tratti principali rivelati dal nostro autore del mese che ricerca con il criterio derivato dalla sociologia di altri due autori, Weber e Simmel.

E’ curioso vedere come molte caratteristiche identificate nel popolo iberico nella terza decade del secolo passato ancora persistono nella società contemporanea e, in questo senso, è fondamentale capire l’essenza della penisola iberica perché è da lì che provengono le radici del Brasile, dalle “Frontiere dell’Europa” (S.B.D. Holanda).

La versione originale in portoghese alla prossima pagina


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