Come accade per l’attore anche la morte di un intellettuale di razza quale può dirsi (sempre) Franco Luberti, recentemente scomparso dopo una logorante malattia, provoca malinconia,rimpianto e sofferta rassegnazione in quanti hanno avuto modo di conoscerli, frequentare, dialogare –direttamente o indirettamente-, grati per l’innegabile contributo alla propria crescita. Parlare con Franco di qualsiasi cosa,argomento ti induceva a metterti o rimetterti in gioco,soprattutto, a gareggiare nell’esercizio dialettico ma anche a “cazzeggiare” visto che lui era dotato di umorismo e fine ironia. È stato il delfino o “rampollo”,quindi, l’erede dei più insigni principi del foro della città (Zeppieri,Tomassini), protagonista di processi clamorosi tra i quali il caso Calzati, il massacro del Circeo (Ghira e compagno). Mi fece leggere alcune parti di una sua arringa (difensore della famiglia Calzati): stile impeccabile,scrittura,tecnica narrativa, estro evocativo degni di un C. Beccaria, un P. Verri. Gli chiesi dell’impressione circa la personalità delle imputate (processo Calzati), mi fulminò con la sua afasia esplicativa e ricchezza semantica: con serrate e stringate sottolineature ne disegnò l’anima. Non solo abile giurista ma anche seducente comunicatore (biondo era, bello e di gentile aspetto! Da Giorgio Zeppieri aveva bene appresa l’arte attoriale!), fine intenditore d’arte, di letteratura e varia umanità. Studioso di Marx, ideologicamente gramsciano così nella vita come nella professione e nei più diversificati ruoli istituzionali,nei suoi scritti, libri. Soprattutto nel suo pensiero Franco Luberti è stato un uomo d’azione a tutto campo, l’intellettuale organico propriamente detto. La sua prestigiosa carriera un cursus honorum di alto profilo per la variazione di registri e tonalità che gli consentivano di frequentare disinvoltamente il serio e il faceto, la prosa e la poesia: sì,ha scritto anche un libro di poesie che, da oggi, conserverò con sottile dis-piacere. Catullo le avrebbe dette “nugae” cioè sciocchezze, nel caso di Franco “Frammenti di un discorso amoroso” tra “L’ovvio e l’ottuso”(cito da Roland Barthes). La poesia,in senso lato,per lui era complementare alla politica, di per sé un’arte -concreta e non astratta- che implica il fare (in greco pòiesis: Luberti non lo aveva mai dimenticato il greco), un impegno civile e culturale. Mente lucidissima sapeva coniugare la passione civile con il razionale e il sentimentale. Non avendo avuto modo di rivederlo in questi ultimi anni, mi rimane il ricordo della sua vivacità ed energia intellettuale, per dirla con Gramsci della sua “fantasia concreta”. Direi che Franco era un filosofo “leopardiano”, un essere vitalissimo consapevole che i sogni sono sogni,quindi, è conveniente sognare a occhi aperti. Il suo “sogno” gli ha consentito di poter frequentare ogni ambito,da quello professionale e affini a quelli ancor più onerosi di uomo pubblico (senatore, sindaco di Cori, consigliere parlamentare etc.). Comunista inossidabile di formazione e condotta, “assoluto” cioè sciolto da ogni vizio di forma dicasi intellettualismo di maniera e altri vezzi molto comuni a chi frequenta la cultura per un puro caso. Parlare con Franco significava divertirsi ossia di-vertere dall’usualmente banale per scivolare nel concettuale ma non troppo,insomma,in un discorso sul metodo e il mestiere del vivere. Dalle notizie che mi giungevano dal suo forzato esilio romano (la malattia) percepivo che il suo essere stato sempre laicamente integro deve avergli consentito di non lusingare la morte. Perciò mi piace dedicargli un epicedio (canto funebre) con le parole di un intellettuale-filosofo che ritengo a lui consonante (non meno di Gramsci) : “ [la morte] Mi sembra inutile e malvagia come sempre, mi sembra il male primordiale di tutto ciò che esiste, l’irrisolto e l’incomprensibile,il nodo in cui tutto da tempo immemorabile è stretto e preso e che nessuno ha osato recidere” (E. Canetti) (gmaul)


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