L’arte nel XIII secolo: Cimabue

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Credette Cimabue ne la pittura/tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,/ sì che la fama di colui è scura.                                 Dante, Purgatorio vv. 94-96

Cimabue il cui vero nome è Cenni di Pepo (ovvero Bencivieni di Giuseppe), nato a Firenze nel 1240 circa, fu l’artista iniziatore della pittura italiana, ben conosciuto ai suoi concittadini tanto da meritare i celebri versi di Dante Alighieri nella Divina Commedia. La citazione dantesca, però ha contribuito a mettere in ombra Cimabue nei confronti di Giotto, anche se, in seguito, Giorgio Vasari, nella sua famosa opera Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, ha scritto del pittore fiorentino che «Fu Cimabue quasi prima cagione della rinnovazione della pittura». Cimabue, per ragioni stilistiche, è infatti unanimemente considerato il maestro di Giotto, il primo che ha riscattato il ruolo dell’artista da semplice artigiano a intellettuale.

Lo storico dell’arte Luciano Bellosi ha scritto: «Se non ci fosse stato Cimabue non ci sarebbe stato nemmeno la grande mutazione portata da Giotto nella pittura. È come se Cimabue, servendosi ancora di strumenti medievali, avesse vissuto una tensione verso il nuovo che indicava la strada da prendere al giovane genio che gli fu allievo».

Studi recenti hanno messo in risalto, inoltre, l’importanza che la figura di Cimabue riveste per l’arte europea nonostante che di questa grande personalità artistica del secolo XIII si abbiano pochissime notizie sulla vita e sulle sue opere.forma due amoie

Alcuni importanti documenti riportano che Cimabue produsse alcuni suoi capolavori ad Arezzo (1265-70) a Roma (1272), ad Assisi (1277-80 ca), a Pisa (1301-02) e soprattutto a Firenze (1275-80) e in altri centri dell’Italia come Pistoia e Bologna.

 La prima opera pervenutaci di Cimabue è il Crocifisso (tempera su tavola) che si trova nella chiesa di san Domenico ad Arezzo (1265). In questo dipinto la volontà di rinnovamento si manifesta nell’accentuazione gonfia e caricata della plasticità del corpo e nell’accasciarsi drammatico sulla croce del Cristo morto, la cui figura appare piegata in modo innaturale e forma due ampie linee-forza arcuate in una elastica tensione.

L’opera di Cimabue iniziò dai modelli tardobizantini codificati, si sviluppò successivamente sulla scia di Giunta Pisano (di cui fu considerato discepolo) e recuperò la vitalità, l’impeto, il patetismo del linguaggio tardoromano filtrato attraverso la tradizione manieristica altomedievale, la grande scultura romanica e il nuovo

Famosa opera di Cimabue è la Maestà del Louvre (1270), proveniente dalla chiesa pisana di S. Francesco, in cui gli angeli sono torniti come colonne e il manto della Vergine, scheggiato come da uno scalpello in mille solchi luminosi, copre un volume definito plasticamente. Questo dipinto  risente dell’esperienza scaturita dalle opere di Nicola Pisano. La posizione della Madonna nella parte alta della composizione sull’asse di simmetria, la diversità di dimensione e di colore rispetto agli altri personaggi danno alla figura il massino rilievo percettivo. Le linee-forza prodotte dagli angeli e la forma cuspidata della tavola concorrono a guidare lo sguardo sul volto della Vergine.

La Madonna in trono, il più monumentale dipinto, detto anche Maestà di Santa Trinità (1280), che i critici concordemente attribuiscono al pittore fiorentino, fu dipinta per la chiesa di Santa Trinità a Firenze (oggi agli Uffizi). In questa opera, che presenta un impianto più slargato e monumentale, un segno incisivo accentua i contorni, modellando col suo serrato e chiuso fluire la maestosa Vergine; gli angeli e i profeti sono disposti in modo gerarchico, con voluta simmetria, attorno al trono, esaltato nei suoi valori plastici e spaziali. Le figure e le architetture rievocano una tono di classicità che rientra nella scoperta dell’antico come “natura” propria del primo gotico.

Molto importanti sono gli affreschi del transetto della Basilica superiore di San Francesco ad Assisi. Cimabue dipinse la volta della crociera con i Quattro Evangelisti (in parte distrutti dal terremoto del settembre 1997), le scene apocalittiche col Giudizio e la Crocifissione nel braccio sinistro, due scene delle storie di San Pietro nel braccio destro e le storie della Vergine nel coro.

 Uno dei dipinti più significativi del grande pittore fiorentino è il Crocifisso di Santa Croce, un capolavoro assoluto  gravemente danneggiato dall’alluvione del 4 novembre 1966 e poi restaurato. Un sottile equilibrio prospettico regge gli elementi di questa straordinaria opera pittorica.

Cimabue, artista attivo dal 1270 circa al 1302 tra la Toscana e l’Umbria, ha avuto  il merito di aver dato una versione elegante e patetica del tema della crocifissione, avvalendosi di una stesura pittorica sottile e luminosa che rappresenta un notevole elemento innovativo nel contesto bizantineggiante della pittura peninsulare del tardo Duecento.

Nella Basilica inferiore ad Assisi l’artista, che lavorò con un’intelligenza del senso umano dell’ideologia francescana, dipinse anche una  Madonna in trono tra angeli e san Francesco (1278-80), il cui ritmo compositivo è diventato più raffinato e il racconto sacro più umano.

L’artista, con la composizione del Crocifisso, destinato all’altare maggiore di Santa Croce di Firenze, e con il dipinto della Madonna della chiesa dei Servi a Bologna, pur obbedendo a una precisa iconografia, influenzato dal pittore senese Duccio di  Buoninsegna e persino da Giotto, giunge a un morbido plasticismo e a un sereno equilibrio dei volumi e colori.

San Giovanni Evangelista fu dipinto a mosaico nell’abside del duomo di Pisa che al tempo era il cantiere più famoso della Toscana. Il Vasari attesta che Cimabue terminato il mosaico pisano, fu chiamato a Firenze per lavorare con Arnolfo di Cambio nella fabbrica di Santa Maria del Fiore, dove fu seppellito nel 1302.

Nel tratteggiare il profilo artistico di Cimabue non si può dimenticare la sua partecipazione all’esecuzione del celebre ciclo musivo del Battistero di Firenze.

Nell’opera complessiva di Cimabue è possibile cogliere il tracciato della transizione della pittura italiana, dalla sua fondazione bizantina e orientale attraverso la riscoperta dell’antico e della classicità, e una maggiore attenzione al dato naturale, fino alla creazione di un linguaggio originale, caratterizzato da un nuova sensibilità per i valori spaziali e da una profonda umanizzazione delle figure.

La sua opera ha lasciato profonde tracce non solo nei centri dove fu molto attivo ma anche in tutta l’Italia centrale, dove numerosi seguaci ne diffusero il linguaggio pittorico capace di esprimere i nuovi valori della vita spirituale che si stabilirono nella società del tempo.


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