LATINA – Primo: non è vero che le suore di San Marco stiano lì da 35 anni soli. Stanno lì da sempre. O almeno dal 1933, quando insieme alla chiesa vennero ultimati gli annessi edifici per i preti e per le suore. I preti erano i salesiani di don Bosco come adesso, mentre agli inizi le suore erano le Figlie della Carità – quelle col cappellone grosso bianco, di san Vincenzo de’ Paoli – che restarono fino al 1982, quando dovettero dare forfait per carenza di vocazioni: con l’arrivo della modernità e del benessere, non c’erano più ragazze che s’andassero a fare suore cappellone. Presero a quel punto il loro posto le suore di Maria Ausiliatrice – salesiane di don Bosco, senza eccessiva crisi di vocazioni – che continuarono a fare nell’asilo di San Marco, senza una sola interruzione d’attività, l’egregio lavoro che prima di loro avevano fatto le suore cappellone vincenziane. Via le une, dentro le altre. Ma sempre e solo suore a San Marco: suor Teresa, suor Pia, suor Agnese, suor Maria. Anzi, dopo le cappellone la prima direttrice salesiana fu proprio suor Geraldi, la fantastica Angelina già assistente loro, che aveva accudito a suo tempo sia me bambino che i miei fratelli e sorelle.

Secondo: io non so se davvero – come dice qualche malevolo – nella lista Lbc (Latina bene comune) che amministra la città ci siano anche forti pulsioni iperlaiciste ed anticlericali. Non lo so e non mi interessa. Ma nemmeno credo – come sostiene Calandrini di Fratelli d’Italia – che il “bene infungibile” garantito dalle suore sia quello esclusivamente religioso. Che me ne fregherebbe a me? Io sono agnostico o al massimo panteista cosmico alla Spinoza, anche se vado in chiesa qualche volta per i funerali e pure il mio, quando sarà l’ora, lo voglio in San Marco. L’8 per mille invece lo do da anni – per un senso o sentimento di colpa, oserei dire, europeo-complessivo – alla Unione delle comunità ebraiche italiane. Ma le suore di San Marco e quelle del Podgora non vanno toccate. Il bene infungibile che esse garantiscono – proprio come le Vestali dentro il tempio rotondo nel Foro di Roma, a custodire in antico il fuoco sacro – è la continuità storico-antropologica e il mito fondativo e identitario della città e della communitas pontina.

La Littoria fascista, in fin dei conti, non durò neanche dodici anni – dal dicembre 1932 al gennaio 1944, nemmeno il tempo di mettere radici – e la Latina vera nacque dopo. Quel poco di solidarietà civica e sentimento d’appartenenza che pure abbiamo, ce lo siamo costruito tutto negli anni cinquanta e primi sessanta, dentro l’asilo e l’oratorio – all’ombra degli eucalypti e delle tonache dei preti e delle suore di San Marco – dentro le corriere in cui ogni giorno d’estate (a luglio le femmine, i maschi ad agosto) ci portavano in colonia al mare a Rio Martino. Le suore stavano già qui ad accudire i bambini negli asili, quando lo Stato democratico ancora non sapeva cosa fossero le scuole materne. All’asilo di San Marco ci siamo andati io e tutti i miei fratelli e sorelle (mia moglie invece, e i nostri figli e nipoti, a quello del Podgora), e pure i padri e le madri e le zie di un sacco di gente che sta adesso in Lbc. Era pieno di Gava e Colazingari – ai miei tempi – sia l’asilo che l’oratorio di San Marco. E senza che pagassimo alcuna retta. Anzi, subito dopo la guerra e per tutti gli anni cinquanta – quando la fame in giro era nera – andavamo tutti la sera a fare la fila fuori, davanti al portoncino laterale sotto il portico, con le gavette e le pentole in mano, a prendere la minestra calda che le suore dispensavano a tutta la città. Suor Teresa, suor Pia, suor Agnese, suor Maria. E mo’ le vuoi cacciare? Dice: “Ma è la legge”. È la legge un paio di palle. Che legge è, una legge ingiusta che non tiene conto della storia e delle consuetudini della gente? Dice: “Ma l’ha fatta Cantone”. E chi cazz’è Cantone? “È un giudice”. E facesse il giudice. Le amministrasse le leggi, non che le fa lui. Da quando in qua – se la Costituzione in Italia è ancora in vigore – le leggi le fanno i giudici? Chi li ha mai eletti a questo scopo? O c’è stato forse un colpo di stato – di cui però nessuno m’ha detto niente – e al posto del parlamento democraticamente eletto c’è adesso la dittatura delle corti giudiziarie? Avvisatemi, porco Giuda, che almeno sto attento a quel che scrivo.


Terzo: è un fatto acclarato che la giunta Lbc e il sindaco Coletta stesso – checché loro eventualmente dicano – è percepita dalla città come una giunta di sinistra e qualunque cosa essi facciano, sia nel bene ma soprattutto nel male, non potrà non riverberarsi in un giudizio sull’intera sinistra che, insieme a tutti gli scontenti di destra, al ballottaggio li votò compatti. Ora quindi – non sia mai sia vero come scrivono i giornali che nessuno in Comune, impiegati tecnici funzionari o dirigenti, vuol firmare più niente per paura dei giudici – Coletta andasse finalmente in tribunale e gli portasse le chiavi: “Tie’! Governatevelo voi, se siete capaci, stocazzo di Comune”. Ma le suore no, le suore devono restare a tutti i costi. Non possiamo essere ricordati come quelli che cacciarono le suore di San Marco (e di Borgo Podgora, se permetti). Sennò davvero – la prossima volta che si vota – altri 85 anni di destra non ce li toglie nessuno, a Latina. Poi stai bene a dire: “Legalità, legalità!”

di Antonio Pennacchi


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