Non chiamatela scissione, il partito di Renzi farà bene al sistema democratico

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C’eravamo illusi di fare come in America. Due grandi partiti, Pdl e Pd ,a scimmiottare i democratici ed i repubblicani d’oltreoceano.

Si è rivelata presto una grande illusione. L’Italia è il paese dei campanili, delle contrade, dei rioni.

Giorgio Gaber in un monologo straordinario affermava che “quando un italiano incontra uno che la pensa come lui, fa un partito. In due sono già maggioranza”.

Niente di più vero. Il Pdl si disintegrò perché Gianfranco Fini non accettava di essere l’utile idiota di Berlusconi. Il Pd, invece, nacque da una geniale intuizione di Veltroni a cui, purtroppo, non credette nessuno. Il fondatore si ritirò dalla politica. Poi fu la volta di Rutelli, Civati, Bersani, Epifani, D’Alema. Ora Renzi. Se la matematica non è un’opinione siamo al terzo segretario dem che abbandona il partito.

Le ragioni sono da rinvenire, ovviamente, nella tendenza-tragica, per certi aspetti- della sinistra italiana a frazionarsi in mille pezzi. Magistrale, in tal senso, un monologo in cui Guzzanti nelle vesti di Bertinotti spiega assai bene il fenomeno.

Raccontava Alfredo Reichlin che Enrico Berlinguer e Bettino Craxi quando si confrontarono sulla ipotesi di riunire la sinistra italiana, parlavano un linguaggio diverso. Di più, erano opposti persino antropologicamente.

Tonino Tatò, storico braccio destro del Segretario comunista e suo portavoce, definiva Craxi “un gangster”. Come non dimenticare, del resto, i fischi volgari che i delegati del congresso socialista di Verona indirizzarono a Berlinguer, nel 1984. Craxi, dalla tribuna, disse così: “So bene che quei fischi non si rivolgevano ad una persona, ma ad una politica. Io non mi sono unito a quei fischi soltanto perché non so fischiare”.

Lo scisma renziano è acqua fresca rispetto a quei toni, a quelle distanze politiche e , sopratutto, a quei leader.

Il sistema proporzionale è un vestito sartoriale che ben si attaglia alla tradizione politica italiana. Può non piacerci (a me, personalmente, garba) ma la cronaca politica degli ultimi vent’anni sta lì a testimoniarci questa evidenza.

Con la consueta sua lucidità Goffredo Bettini ha analizzato bene la situazione in cui versa il campo del centrosinistra: la nascita di “Italia Viva” rappresenta da una parte l’assicurazione sulla vita del Conte bis e, dall’altra, una forte scossa tellurica nel campo opposto al sovranismo. Seguiranno Renzi, infatti, anche molti elettori ed eletti di Fi che non intendono morire sul pratone di Pontida.

Non può esistere un bipolarismo laddove prevalgano le estreme. Il centro-destra di cui ama parlare Berlusconi è una immagine sbiadita del passato. Oggi vi è una destra nazionalista, xenofoba, anti europea e persino con venature di antisemitismo. Come può un partito che in Europa appartiene alla grande famiglia del Ppe, condividere la stessa piazza di Salvini e Meloni?

Renzi si appresta a costruire una casa liberal-democratica che sia libera da alcuni totem della sinistra post comunista. Ha detto infatti l’ex Premier da Bruno Vespa: “Bandiera Rossa non sarà mai il mio canto”. Può sembrare una questione da poco, ma non lo è. Per troppo tempo si è vissuti nell’equivoco che essere di sinistra significasse provenire, in un modo o nell’altro, dalla grande famiglia comunista operando,così, una tragica damnatio memoriae della tradizione liberal-socialista, laica e radicale che avrebbe meritato e merita una ritrovata dignità politica.

Il partito di Renzi farà bene al campo del centrosinistra che, in un sistema proporzionale, combatterà con rinnovata forza per arrestare l’avanzata illiberale del capitano leghista.


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Sono laureato in Scienza della Politica con tesi dal titolo: ”L’eccezionale: Storia istituzionale della V Repubblica francese”. Socialista liberale libertario e radicale. Mi sono sempre occupato di politica e comunicazione politica collaborando a campagne elettorali e referendarie. Ho sempre avuto una passione per il giornalismo d’opinione e in News-24 ho trovato un approdo naturale dove poter esprimere liberamente le mie idee anche se non coincidono sempre con la linea editoriale della testata. Ma questo è il sale della democrazia e il bello della libertà d’opinione.