Una disamina sulla “poesia” al tempo della pandemia Covid-19

166

Lo scrittore ceco Milan Kundera nel suo libro L’arte del romanzo (Piccola Biblioteca Adelphi,1988) ritiene che: Per il poeta scrivere significa abbattere il muro dietro cui si nasconde qualcosa che è stata sempre lì. Mentre in questo brano, tratto dal romanzo Sul sentiero dell’origano selvatico (Aracne editrice – Ragno Riflesso, 2020),  l’autore di questo articolo traccia la sua idea di poesia: «Perché mi hai letto questa Poesia. Cos’è la Poesia?» chiede il nipote al nonno. «La Poesia è passione, è fuoco che arde dentro e che dà vigore a chi la scrive o a chi la legge interiorizzandola emotivamente. La Poesia è musica dell’anima. La Poesia è cogliere l’attimo emotivo che diventa eternità. La Poesia è sentirsi in sintonia con la natura. Tanti, tantissimi rifuggono dalla poesia per superficialità e perché non comprendono il suo valore che è sconvolgimento dello status quo, è intimità che si esteriorizza instaurando un rapporto empatico con gli altri; perché la Poesia è liberazione; perché la Poesia è un atto rivoluzionario che unisce il sé al mondo sconvolgendolo; perché la Poesia è un moto dell’inconscio che tramite i ricordi esprime un’intensa emotività interiore che trasforma le immagini immateriali insite nella mente del poeta in immagini reali e in affettazioni polimorfe; perché la Poesia è un gioco fantastico che il poeta intraprende con le proprie chimere per trarne carezze che gli possano conferire conforto e diletto; perché la Poesia è sintesi tenera e appassionata dei continui moti dell’animo sentiti, attimo dopo attimo» risponde il nonno. «Cos’è il Poeta?» chiede con tanta voglia di sapere il nipote al nonno che sta lì ansioso di suscitare domande e pronto a rispondere. «E Poeta è colui che svela la propria potenza immaginifica con la stessa semplicità con cui la madre allatta il proprio bambino. E, come una madre, Poeta è colui che nutre chi si abbevera alla sue dolci parole o alle sue rime accorate» risponde ancora il nonno.”

Il filosofo Greco Platone, vissuto tra il V e il IV sec. a.C., nel Simposio definisce la poiesis così: “Ogni atto per cui qualcosa passa dal non-essere all’essere è poiesis, cosicché le varie operazioni dipendenti da tutte le arti sono poieseis e i loro artisti sono tutti poietai”. Ebbene, nel caso di una persona malata, se la terapia usata da un medico per salvarla non fosse considerata arte, in ogni caso la si potrebbe identificare con la poiesis in quanto in quell’azione curativa e salvifica c’è un passaggio dal non-essere all’essere, dall’essere malato all’essere sano. Il medico è lo scienziato, infatti, che agisce allo stesso modo di come agisce il poeta. Lo scienziato è, dunque, anch’egli un poeta perché con la sua indagine e la sua opera non fa altro che sconfiggere una realtà invisibile, che non può essere colta direttamente dai sensi in modo esplicito, ma soltanto attraverso la manifestazione dei suoi sintomi. Se è così come lo è, i poeti, purtroppo, non vengono apprezzati, perché le poesie le leggono in pochi, e spesso non sono comprese perché il loro linguaggio è incomprensibile, metaforico e simbolico. Anche quando un poeta esprime idee in modo chiaro e semplice, se esse risultano discordanti con le convinzioni comuni e con le consuetudini prevalenti, cioè risultano eretiche ai più, non vengono neppure prese in considerazione. Anzi vengono vituperate e subito scartate. Se si manifestasse, quindi, un’opinione come la seguente: Noi siamo costituiti di atomi organizzati in molecole, e quindi di materia che si è fatta “forma”, la cui essenza è esplicitata in ciò che chiamiamo “anima”, dove racchiudiamo, in sintesi, tutta la nostra umanità che è esplicitata dalle nostre azioni guidate dai sentimenti e dalla ragione. Da ciò deriva che ogni essere umano – e anche ogni essere vivente -, ha un’esistenza di durata pari a quella degli atomi che lo costituiscono. Quando “muore”, l’anima scompare, ma egli continuerà ad esistere grazie a quegli stessi atomi che lo hanno fatto “vivere”. Un’opinione che verrebbe rifiutata dal contesto sociale ovvero dalla maggior parte della società perché la religione professata proietta l’attenzione intellettiva di ogni individuo all’esterno del proprio io allontanandolo dalla conoscenza di sé.

Il filosofo greco antico Epicuro (IV – III sec. a.C.), nella Lettera sulla felicità, scriveva che la morte, non è nulla per noi, perché quando siamo in vita lei non c’è, e quando lei c’è non ci siamo più noi.

Lo storico greco Diogene Laerzio riportava, a riguardo, il pensiero di Talete, definito tra i filosofi il primo filosofo vissuto tra il VII e il VI secolo a.C., il quale sosteneva che in nulla la morte differisce dalla vita.

In tempi più recenti la filosofa francese Simone Weil riteneva che il dono della vita equivale al dono della morte.

Il poeta Giacomo Leopardi nel canto Amore e morte chiama la morte “bellissima fanciulla” come si evince dai primi versi: Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ Ingenerò la sorte./ Cose quaggiù sì belle/ Altre il mondo non ha, non han le stelle./ Nasce dall’uno il bene,/ Nasce il piacer maggiore/ Che per lo mar dell’essere si trova;/ L’altra ogni gran dolore,/ Ogni gran male annulla./ Bellissima fanciulla,/ Dolce a veder, non quale/ La si dipinge la codarda gente,/ Gode il fanciullo Amore/ Accompagnar sovente …

Così scriveva la poetessa Emily Dichinson: Non ti sembra tragica l’Eternità? Ci penso sovente e mi sembra così oscura che quasi desidererei che non ci fosse Eternità. Credere che dobbiamo vivere per sempre e non cessare mai di esistere. Sembra come se la Morte, di cui tutti hanno paura perché ci lancia in un mondo ignoto, sia una consolazione rispetto a uno stato di esistenza così lunghissimo. Non so il motivo ma mi sembra di non dover mai finire di vivere sulla terra – non riesco a pensare con la mia immaginazione più viva la scena della mia morte – Mi sembra di non dover mai chiudere gli occhi nella morte. Non riesco a rendermi conto che la tomba sarà la mia ultima casa – che gli amici piangeranno sul mio feretro, che il mio nome sarà ricordato, come uno di quelli che ha smesso di essere fra i rifugi dei viventi, e ci si chiederà dove è volata la mia anima disincarnata.

E molti secoli prima anche il drammaturgo greco antico Euripide, nella tragedia Alcesti, (438 a.C.), affronta il tema della morte descrivendo della moglie di Admeto il risveglio improvviso durante una notte mentre dorme: Sognò le Moire, tre sorelle deformi, storpie e decrepite, Cloto, Lachesi e Atropo, inesorabili e crudeli tessitrici della vita d’ogni essere umano. Sognò, dimenandosi nel talamo coniugale, madida e smaniosa, dapprima Cloto che teneva la rocca per filare, mentre Lachesi avvolgeva il filo al fuso e, infine, sognò Atropo che si accingeva a tagliare, colta da invidia per la bellezza di Alceste e per la felicità che regnava in quella famiglia, con crudeltà e con senso cinico, il filo con le taglienti forbici, quel filo a cui era appesa la vita del marito. Atropo, sempre in sogno, con la sua voce decrepita e rauca, esclamò sghignazzando con tono altisonante ed echeggiante «Alceste, se vuoi salva la vita di Admeto, in cambio voglio la vita di Ferete o di un’altra persona oppure, se vuoi veramente del bene a tuo marito, la tua stessa vita». (passo tratto dal romanzo La ricerca, Aracne editrice, 2018).

Francesco Giuliano


News-24.it è una testata giornalistica indipendente che non riceve alcun finanziamento pubblico. Se ti piace il nostro lavoro e vuoi aiutarci nella nostra missione puoi offrici un caffè facendo una donazione, te ne saremo estremamente grati.



Articolo precedenteCerchi una farmacia aperta a Natale, in via San Carlo da Sezze c’è Fontevita
Articolo successivoLatina. Gli auguri in blues dei Big Soul Mama, un’ora e mezza in concerto dalle mille emozioni
Giuliano Francesco, siciliano d’origine ma latinense d’adozione, ha una laurea magistrale in Chimica conseguita all’Università di Catania dopo la maturità classica presso il Liceo Gorgia di Lentini. Già docente di Chimica e Tecnologie Chimiche negli istituti statali, Supervisore di tirocinio e docente a contratto di Didattica della chimica presso la SSIS dell’Università RomaTre, cogliendo i “difetti” della scuola italiana, si fa fautore della Terza cultura, movimento internazionale che tende ad unificare la cultura umanistica con quella scientifica. È autore di diversi romanzi: I sassi di Kasmenai (Ed. Il foglio,2008), Come fumo nell’aria (Prospettiva ed.,2010), Il cercatore di tramonti (Ed. Il foglio,2011), L’intrepido alchimista (romanzo storico - Sensoinverso ed.,2014), Sulle ali dell’immaginazione (NarrativAracne, 2016, per il quale ottiene il Premio Internazionale Magna Grecia 2017), La ricerca (NarrativAracne – ContempoRagni,2018), Sul sentiero dell’origano selvatico (NarrativAracne – Ragno Riflesso, 2020). È anche autore di libri di poesie: M’accorsi d’amarti (2014), Quando bellezza m’appare (2015), Ragione e Sentimento (2016), Voglio lasciare traccia (2017), Tra albori e crepuscoli (2018), Parlar vorrei con te (2019), Migra il pensiero mio (2020), selezionati ed editi tutti dalla Libreria Editrice Urso. Pubblica recensioni di film e articoli scientifici in riviste cartacee CnS-La Chimica nella Scuola (SCI), in la Chimica e l’Industria (SCI) e in Scienze e Ricerche (A. I. L.). Membro del Comitato Scientifico del Primo Premio Nazionale di Editoria Universitaria, è anche componente della Giuria di Sala del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica 2018 e 2019/Giacarlo Dosi. Ha ricevuto il Premio Internazionale Magna Grecia 2017 (Letteratura scientifica) per il romanzo Sulle ali dell’immaginazione, Aracne – NarrativAracne (2016).