Pasolini: il poeta delle Ceneri

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Pier Paolo Pasolini: il poeta delle Ceneri

Nella poesia adulta di Pasolini troviamo la convivenza forzata tra senso del sacro e razionalismo. È da questo conflitto che nascono i suoi versi. (Virgilio Fantuzzi)

Pasolini, nella varietà delle sue esperienze (poesia, narrativa, critica, cinema) testimonia una raffinata sensibilità poetica e una appassionata ricerca dei sentimenti più autentici dell’uomo. Pier Paolo Pasolini è stato essenzialmente «un poeta che ha detto tutto di sé nelle sue poesie».

In una intervista ha dichiarato che ha cominciato a scrivere poesie che aveva sette anni e mezzo, quando abitava a Salice e faceva la seconda elementare, e che « erano dei versi tradizionalisti; ero un poeta “accademico”… e adottavo la lezione petrarchesca   come canone stilistico».

Negli anni settanta, quando le masse popolari furono invase dal mito del benessere e dell’imborghesimento, la sua fede si attenuò e le sue opere diventarono più cupe, improntate a una dolorosa ribellione contro la società e le sue strutture.

Per Pasolini la poesia fu l’atteggiamento più naturale del suo animo, segnalandosi come una delle voci più sensibili e originali del nostro tempo.

Secondo Alberto Moravia Pasolini, oltre ad essere un grande scrittore e  saggista, è stato un poeta civile perché si è impegnato sul fronte storico, politico e sociale. Con la sua poesia civile, che si ispirava direttamente ai poeti moderni decadentisti, ai francesi, in particolare a Rimbaud,  polemizzava e lamentava i disastri dell’Italia.

La poesia in dialetto 

Il suo debutto di poeta è legato al dialetto di Casarsa (Pordenone) il paese di sua madre Poesie a Casarsa (1942), ma già dall’adolescenza aveva cominciato a scrivere poesie in italiano. Questa raccolta di poesie in dialetto fu pubblicata nel pieno della seconda guerra mondiale. Si comprese subito che si trattava di un prodotto di rara qualità nel quale s’inverava un “regresso” programmato della lingua comune al dialetto inteso come lingua “altra” , quasi divenuta «oggetto di accorata nostalgia».

 La poesia nasceva dalla presa d’atto della consunzione della lingua letteraria del Novecento e dalla necessità di recuperare tutta l’oralità del linguaggio come espressione della comunità che in esso si riconosce. Freschi paesaggi rurali in atmosfere vibranti, aspetti di vita arcaica, personaggi rustici. Vi compariva l’emblematica figura di Narciso sospeso tra la critica felicità dell’infanzia e la morte, e si esplose il sentimento della scoperta dl mondo popolare.

In una intervista Pasolini ha dichiarato: «l’impiego del dialetto, che ho cominciato a usare verso i diciotto anni, non è stato affatto un impiego realistico … io ho usato il dialetto friulano per ragioni puramente estetiche, prescindendo da coloro che lo parlavano».

Come poeta dopo la raccolta dialettale La meglio gioventù la sua fama crebbe con Le ceneri di Gramsci opera tra le più significative. Seguirono L’usignolo della Chiesa cattolica (1958), La religione del mio tempo (1961), Poesia in prosa di rosa (1964), Transumanar e Organizzar (1971, La nuova gioventù (1975), rifacimento e ampliamento della raccolta del ’54.                        La meglio gioventù (1954)                                                Questa  raccolta di versi dedicata a Gianfranco Contini, comprende, oltre la prima plaquette pressoché integrale, la Suite friulana, El testament Coràn e il poemetto Romancero. Ha scritto il filologo e critico letterario, Vincenzo Mengaldo,  la terra friulana è «un mondo leggendario, quasi sognato, già visto con gli occhi del distacco e insieme col sentimento di colpa di chi non è partecipe fino in fondo…» e, al tempo stesso, la terra in cui si incarna «la prima manifestazione del “mito” pasoliniano», quello «di una civiltà pre-capitalistica, e intrisa di religiosità primitiva, la quale si sottrarrebbe alla devastante ruspa della storia opponendole la sua autenticità incontaminata»                            Le ceneri di Gramsci (1957)                                              Raccolta cruciale della sua attività poetica che si compone di undici poemetti, scritti tra il 1951 e il 1956, in parte anticipati su riviste. Quest’opera segna il passaggio dall’elegia protettiva del Friuli materno, «tiepido e trepidante di amorose epifanie», alla Roma degli aspri conflitti sociali e dei duri confronti politico-ideologici. Una silloge costruita in maniera rigorosa che testimonia un’angosciante realtà sociale e assurge a «documento» di religiosa pietas per le sofferenze storiche della creatura umana.                                                                                                    Nei poemetti in terzine dantesche il poeta confessa la sua angoscia di intellettuale che da una parte aspira all’emancipazione del popolo, ma dall’altra ne rimpiange la genuina arretratezza.

Nei primi sei poemetti (L’Appennino (1951), Il canto popolare (1952), Picasso (1953), Comizio (1954), L’umile Italia (1954) Quadri friulani (1955),  la prospettiva di analisi  è quella storico-politica e ruota intorno all’argomento dell’impotenza del popolo (l’antica civiltà contadina) a inserirsi nella prospettiva del progresso.

Negli altri poemetti (Le ceneri di Gramsci (1954), Recit (1956), Il pianto della scavatrice (1956), Una polemica in versi (1956), e La terra di Lavoro (1956), il poeta si mette con disperata tenerezza in gioco e confessa dinanzi al cenere muto di Gramsci lo scandalo del contraddirsi, di essere con e contro;  si compiange «di essere diverso e solo»; si attrista nel sentire «un urlo improvviso umano»; mentre avverte la sua sconfitta di chi, come lui, si perde nel «proprio paradiso interiore». Parte centrale del poemetto è la quarta strofe: «Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere /con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere»

Pasolini sulla tomba di Gramsci, di cui ammira le idee, dà libero sfogo al suo intimo conflitto di intellettuale, lacerato fra la scelta dell’impegno politico totale e rivoluzionario e la consapevolezza di avere ancora radici in quel mondo borghese da cui proviene e che non si sente di rinnegare.

Rivolgendosi direttamente a Gramsci, emblematico uomo politico che ha pagato con la vita le use idee, il poeta accentua il suo senso di colpa, la sua lacerazione interiore. «l’oscuro scandalo» della sua coscienza, consapevole di sentirsi povero tra i poveri, ma anche distinto da essi per «il più esaltante dei possessi borghesi», la conoscenza del mondo e della dimensione storica. Se socialmente, quindi, si identifica col proletariato, intellettualmente se ne sente lontano.

Pasolini nella sua ispirazione è spinto da una tormentosa ansia di conoscenza e di comprensione della realtà con la quale è venuto a contatto, quella della borgate romane  del dopoguerra, dello squallore e della violenza del vivere quotidiano degli esclusi dalla storia nel mondo subumano del sottoproletariato metropolitano      L’argomento della speranza in un futuro di giustizia per le masse popolari costituisce il leit-motiv della silloge   (prima parte)


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