Crisi del PD. Un Altro Segretario ?

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Un altro segretario. Un altro ancora? Dopo Veltroni, Franceschini, Bersani, Renzi, Martina, Epifani-Orfini e Zingaretti? Un altro rito tribale da consumare nel giro dei prossimi 3-4 mesi ? Non voglio difendere Letta, ha fatto davvero troppi errori tattici (Cacciari : ‘ha giocato a briscola con le regole dello scopone’): aveva a disposizione almeno quattro diverse tattiche di gioco, ma alla fine ne è venuta fuori una quinta, del tutto fallimentare.

Noi potremmo anche restare sul terreno della tattica politica e del gioco partitico, per affermare che alla fin fine il centrodestra ha ora ottenuto il 44% dei voti (12.299.648 di voti, pari al 43,79%), mentre alle ultime elezioni europee, con meno votanti (27.780.855, rispetto ai 28.086.553 del 25 settembre) aveva sfiorato, con 13.333.623 di voti, il 50% delle preferenze. Aggiungendo che dunque la netta maggioranza di cui Giorgia Meloni potrà godere nella prossima legislatura è solo il frutto di una disgraziata distorsione della legge elettorale (ma su questo bisognerebbe decidersi: lo vogliamo o no un sistema di tipo maggioritario che premia la governabilità?).

E potremmo anche invocare i pronostici di alcuni che prevedono litigi nella coalizione e una imminente scomposizione della sua maggioranza. O sorridere con il sarcasmo di altri che si affidano ad un prossimo Papeete di Salvini, nostra unica e ultima speranza.

Ma oggi, sia come sia, siamo tutti convinti che sia necessario ripensare a fondo il PD, la sua politica, la sua strategia e il suo modo d’essere, la sua forma-partito, rimuovendo la semplicistica idea che il problema sia quello di trovare un nuovo segretario.

Chi è tanto ingenuo da credere infatti che, chiamando alla segreteria questo o quella, le sorti del PD potrebbero risorgere d’incanto? Sarebbe dunque sufficiente cambiare il management, il segretario, il gruppo dirigente, e tutta la filiera che ne discende, per ritrovare la strada della vittoria? Un buon management serve, è necessario, ma in politica, a differenza di ciò che accade nel mondo della imprenditoria, le fortune di un partito dipendono in gran parte dalla sua capacità di intercettare le richieste e i bisogni di quel pezzo di  società che esso vuole rappresentare, e di tradurre quell’insieme di richieste e di bisogni, spesso disparati, in un profilo identitario, in un complesso di idee, in una visione di società. Il che non significa cadere nella trappola dei ragionamenti sui massimi sistemi e della definizione di un’astratta, immobile e morta ideologia, significa affermare il proprio ancoraggio ideale e tradurlo in obiettivi strategici e puntuali e concrete azioni e proposte politiche.  E, aggiungerei, che le fortune di un partito dipendono anche dalla qualità della sua classe dirigente, e dai suoi comportamenti: un tema su cui molto si potrebbe dire, ma che alla fin fine è strettamente connesso alla sua strutturazione e alle regole che ne disciplinano la vita interna.

In questi giorni abbiamo ascoltato e letto una miriade di analisi sui mali del PD e dei rimedi che sarebbe opportuno adottare. Non voglio aggiungermi a questo profluvio di parole.

Vorrei soltanto sottolineare l’inutilità di rispolverare slogan e ricette sempre ripetute e mai praticate: stare tra la gente, incontrare i giovani, le donne, i lavoratori. Perché tutto questo va bene, ma poi quando vai tra la gente, quando incontri i giovani, le donne e i lavoratori cosa vai a dire? Per quali concrete e specifiche iniziative intendi mobilitarli?

E non è solo inutile, ma anche fastidioso, quel modo di reagire a risultati negativi dando sempre la colpa agli altri, a quelli che non votano come vorremmo noi e sono quindi brutti e cattivi. Allo stesso modo, dovremmo una volta per tutte buttare a mare quell’inclinazione di cui sono affetti molti di coloro che si sentono ‘a sinistra’ a voler educare gli altri, a formare le loro coscienze di bravi cittadini.

Nessuno di noi gioisce della sconfitta elettorale, ma dal ruolo di opposizione in cui ora siamo relegati potremmo trarre, se ne saremo capaci, nuove indicazioni per un’efficace pratica politica, sperimentando vie  e metodi nuovi di lavoro.

Abbiamo, quando va bene, ottimi amministratori, ma non siamo sufficientemente attrezzati per le tante battaglie che dovremmo fare nelle molte realtà locali ove prevale una pessima gestione della cosa pubblica, lo sregolato funzionamento della macchina amministrativa, la depredazione del territorio e dell’assetto urbano, l’abusivismo edilizio. Quali iniziative il PD, il partito nel suo complesso, è capace di mettere in campo per combattere quei fenomeni, senza lasciarne ai circoli locali l’intera responsabilità?

Non è dai territori che il PD potrà riacquistare linfa e vitalità?

Lo sappiamo tutti, e lo si vede dalla vita dei circoli: è da tempo che il PD non riesce più ad incrociare il sentiment popolare, anzi – e per meglio dire – ad esserne espressione: una faccenda piuttosto grave per un partito che dovrebbe aver ereditato le culture politiche di grandi partiti di massa.

Non è quel sentimento popolare che dovremmo recuperare? O ci accontenteremo di quella vera rivoluzione copernicana, molto popolare in verità, proposta da chi usa lo schwa (ә) per superare il cosiddetto binarismo di genere?

Agostino Attanasio


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