I primi capolavori di Bernini (Museo di Villa Borghese)

1936

All’età future, le quali sono certo che invidieranno alla nostra la fortuna che ha di vedere, mercè del Bernino, mantenute pittura, scultura e architettura nel possesso legittimo dell’antica lor dignità.                                                                              Filippo Baldinucci

Le parole riportate in esergo testimoniano la grande ammirazione che ebbero i contemporanei verso l’artista più rappresentativo del Seicento, Gian Lorenzo Bernini, le cui straordinarie invenzioni superarono i confini tra le singole discipline artistiche.

Bernini apprese nella bottega del padre Pietro, scultore fiorentino che operava a Napoli, il virtuosismo tecnico della scultura tardomanieristica e studiò in maniera appassionata le opere dei maggiori maestri del Cinquecento e dei modelli ellenistici.

I suoi studi furono orientati verso molteplici direzioni: la statuaria antica, i grandi artisti del Rinascimento, Michelangelo in particolare, e la pittura contemporanea, con una forte preferenza per Annibale Carracci. Grazie a questa varietà di stimoli culturali e alla sua straordinaria abilità nella lavorazione del marmo, il Bernini diede vita ad un nuovo e originale linguaggio che attirò immediatamente l’attenzione di prestigiosi committenti.

Il suo precoce talento si manifestò pienamente nei quattro gruppi marmorei scolpiti tra il 1619 e il 1625 per il cardinale Scipione Borghese, grande collezionista, promotore delle arti e principale mecenate del giovane artista.

Le prime grandi opere, con le quali Bernini conquistò subito fama e successo,  furono i gruppi scultorei di Enea e Anchise, il Ratto di Proserpina, la statua di David e Apollo e Dafne.    

Enea e Anchise (1618-1619). Il gruppo marmoreo rappresenta la fuga da Troia dell’eroe virgiliano con il padre sulle spalle, il figlioletto Ascanio e i penati della città. Questo gruppo statuario presenta alcune incertezze formali dovute all’influenza o addirittura all’intervento diretto del padre. In quest’opera, se la posa dei corpi intrecciati ricorda i precedenti cinquecenteschi, Bernini manifesta la sua straordinaria capacità di lavorare il marmo con effetti di naturalezza estrema.                                                                                                                              Ratto di Proserpina (1621-il 1622). La scultura fu realizzata in poco più di un anno, tra la primavera del 1621 e l’estate del 1622, quando l’artista aveva appena 22 anni. Il gruppo scultoreo alto 255 cm, che si ispirava ancora una volta alle “Metamorfosi” di Ovidio, fu commissionato da Scipione Borghese, rimasto colpito dal risultato del gruppo Enea e Anchise.                                                                                                                                       Secondo il mito classico Proserpina, figlia di Cerere, dea delle messi e della fertilità, viene rapita da Plutone mentre raccoglie fiori presso il lago di Pergusa (oggi Enna). La giovane disperata lo respinge mentre sta per essere  trascinata negli Inferi.               Un geniale talento permette all’artista di scolpire dettagli finissimi, come le lacrime di Proserpina, i riccioli della barba di Plutone, mossi dalla foga dell’atto, e i segni che le mani potenti del dio lasciano sulla coscia e il fianco della giovane.                                                                                                                             L’effetto è eccezionale: il marmo appare morbido come carne. Il gruppo presenta un rivolgimento a torsione, secondo una complessa dinamica che richiede grande perizia nella lavorazione del marmo.                                                                                                                                                                           In questo straordinario gruppo marmoreo, Bernini dimostra una padronanza della tecnica scultorea molto prodigiosa che privilegia le linee diagonali. Le dita di Plutone, che affondano le carni morbide di Proserpina, sono fra i dettagli più affascinanti dell’intera storia dell’arte occidentale.                                                                                                                                          David  (1623- 1624). Per questa statua, alta 170 cm, realizzata in solo sette mesi, Bernini scelse di rappresentare il momento più drammatico del racconto biblico da cui dipese l’esito dell’intera impresa. L’eroe-simbolo rappresenta un uomo vero colto nel momento della sua azione quando, ruotando il busto, sta per scagliare la pietra che ucciderà il gigante Golia.

Il corpo di David si sbilancia in avanti, compiendo allo stesso tempo una torsione all’indietro, per imprimere al suo gesto una maggior forza possibile. La gamba destra, poggiando saldamente a terra, regge completamente il peso del corpo, mentre la sinistra si solleva appena. Tra le gambe giacciono una corazza e le armi. Il busto si flette avvitandosi, la spalla destra si abbassa, mentre la sinistra scatta verso l’alto a tendere la fionda. La tracolla della bisaccia e il manto scomposto, che ricopre soltanto i fianchi lasciando scoperto il resto del corpo muscoloso, sottolineano efficacemente il movimento in diagonale della figura, mentre la smorfia delle labbra serrate e la fronte corrugata esprimono una grande tensione fisica ed emotiva del giovane.

Il soggetto sacro è svolto con un impatto visivo molto forte, perché si ribalta il punto di vista, e chi si pone di fronte al giovane, colto nell’attimo di massima tensione prima di lanciare la pietra, come mostrano il viso e le labbra, ha il “ruolo” di Golia ed è indotto a credere che il colpo sia diretto verso di lui.                                                                                                          Apollo e Dafne. È uno dei gruppi scultorei più celebri della Galleria Borghese, alto 243 cm, realizzato tra il 1622 e il 1625 che si rifà al mitologico racconto delle “Metamorfosi” del poeta latino Ovidio.

In questo gruppo marmoreo l’artista-scultore proseguì la sua ricerca sul movimento della figura umana abbandonando così la tradizione rinascimentale, secondo la quale la statua doveva essere chiusa in un blocco preciso, idealmente definito da contorni ben delimitati.                                                                                                                                                                      Dafne, la bellissima ninfa, rincorsa da Apollo sfugge trasformandosi in un albero di alloro, che in seguito diventerà la pianta prediletta dal dio. Le mani protese verso il cielo e i capelli spettinati di Dafne si fanno alloro, il corpo muta in corteccia, i piedi si trasformano in radici e lo stupore degli occhi di Apollo che, col suo tocco, causa tutto ciò e diventa la meraviglia di chi guarda al gruppo marmoreo.                         .

Le due figure sono poste su un piedistallo somigliante ad un’aspra roccia, su cui Apollo sta inseguendo Dafne che implora, in sua difesa, l’aiuto della madre Terra. La ninfa, bloccata per lo spavento, si inarca all’indietro, reclinando il capo, quasi con rassegnazione e l’espressione del volto manifesta un sentimento di impaurita sorpresa. Lo sguardo è perso nel vuoto, le narici fremono per la corsa affannosa e la bocca si apre in un grido strozzato.                                                                                                                                                                                 Il giovane Apollo, seminudo, nell’affanno della corsa compie l’ultimo balzo per ghermire la ninfa. Il manto che lo copriva è scivolato dalle spalle attorcigliandosi intorno ai fianchi, rivelando in tal modo la forte tensione della muscolatura.

Nella rappresentazione dei movimenti istantanei delle due figure, l’artista sembra quasi voler superare i limiti stessi della materia, dando vita ad una immagine che, da plastica, si trasforma in pittorica agli occhi dello spettatore.                                                                                                                                   Bernini nel narrare l’episodio letterario è interessato all’indagine dei sentimenti e degli stati d’animo dei personaggi. La complessa relazione psicologica che lega le due figure raggiunge il culmine nel gesto del dio che stringe la ninfa; i due protagonisti appaiono sospesi nel vuoto, bloccati nel loro tentativo di librarsi nello spazio.

Nel cartiglio della base del gruppo marmoreo  fu inciso in latino il distico morale «chi ama seguire le fuggenti forme dei divertimenti, alla fine si trova foglie e bacche amare nella mano», composto dal futuro papa Urbano VIII, amico del cardinale Scipione Borghese, che voleva giustificare la presenza di questa favola pagana in casa sua.

Il gruppo scultoreo testimonia in modo esemplare l’incredibile maturità artistica raggiunta dal giovane Bernini e mostra con quanto estro, fantasia e sicurezza egli sapeva affrontare temi impegnativi sviluppandoli secondo indirizzi artistici originali.

L’opera conobbe un tale successo di pubblico che, secondo lo storico dell’arte contemporaneo di Gian Lorenzo Bernini, Filippo Baldinucci « se ne sparse tale grido che tutta Roma concorse a vederlo per un miracolo»

 


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