Il Parco e gli Acquedotti dell’Antica Roma

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Il Parco degli Acquedotti oggi è il custode di uno straordinario Patrimonio archeologico in un’area di duecentoquaranta ettari, che un tempo era parte della Campagna Romana. Una passeggiata nel Parco, ci dà la possibilità di conoscere uno dei luoghi più preziosi al mondo, il cuore verde del Quadrante sud-est di Roma.  L’area del Parco (1986) era a rischio della speculazione edilizia, alcuni cittadini crearono il “Comitato per la tutela del Parco degli acquedotti e di Roma vecchia”, grazie anche all’appoggio di alcuni intellettuali come Lorenzo Quilici, il Comitato riuscì (1988) a far inserire l’area degli acquedotti nel Parco Naturale Regionale dell’Appia Antica, diventando cosi il Parco Urbano più grande d’Europa, un’area protetta di circa 4.580 ettari, che rappresenta il residuo più importante dell’Agro Romano, dal punto di vista storico, archeologico e paesaggistico. E’ importante ricordare anche l’archeologo Antonio Cederna (1921 -1996), uno dei più grandi intellettuali italiani del secondo Novecento, figura di spicco nella storia dell’ambientalismo italiano; giornalista, urbanista, parlamentare, presidente dell’Azienda Consorziale Parco dell’Appia Antica, che ha dedicato la propria vita per la difesa del Patrimonio Storico Artistico del Paese Italia. Famosa è la grande battaglia della Via Appia Antica a cui dedicò 140 articoli contro gli abusi edilizi. L’Archivio Antonio Cederna è nato a Roma, con sede nel sito archeologico di Capo di Bove, lungo la Via Appia Antica, al numero civico 222. Il Parco dell’Appia Antica è ricco di antiche vestigia, è come un’essenza nascosta che chiede ai visitatori di essere svelata, percepita, come valore emozionale dello sguardo, è un viaggio tra natura, arte e storia. Gli acquedotti, testimoniano la grandezza dell’antica Roma e la sua geniale capacità ingegneristica e architettonica. La loro costruzione, fu una delle imprese più grandi e impegnative della civiltà romana. L’origine della nostra conoscenza risale all’opera di Frontino, che fu nominato dall’imperatore Nerva nel 96 d.C. con l’incarico di “curator aquarum”, “curatore degli acquedotti”, in altre parole “sovrintendente agli acquedotti di Roma”. Sesto Giulio Frontino, nel suo trattato “de aquae ductu urbis Romae”, ovvero “gli acquedotti dell’antica città di Roma”, scrisse: “Gli acquedotti sono la più alta manifestazione della grandezza di Roma”.  Strabone (geografo, storico e filosofo dell’antica Grecia), definiva gli acquedotti dell’antica Roma, come le opere pubbliche più straordinarie della città. L’acqua che essi incanalavano era chiarissima, trasparente, pura, cristallina; infatti, come affermarono sia Plinio il Vecchio: “Roma regina Aquarum, regina delle acque”, sia il medico Galeno: “La bellezza delle innumerevoli fontane di Roma è meravigliosa, nessuna di esse emana acqua sporca, torbida o fredda. Per secoli l’approvvigionamento idrico della città di Roma, si è servita delle acque del Tevere, dei pozzi e delle sorgenti. Il primo acquedotto romano, fu l’Appio. Il censore Gaio Plauzio Venoce, riuscì ad individuare le sorgenti tra il VII e l’VIII miglio della Via Prenestina, ma l’inizio della costruzione avvenne nel 312 a.C. dal censore Appius Claudius Caecus (Appio Claudio Cieco), il quale avendo prolungato il suo mandato oltre a quello di Plauzio, si attribuì il merito di averlo costruito e il nome. Il secondo fu eseguito nel 272 – 269 a.C. denominato Aniu Vetus, che traeva per primo la sua acqua e il suo nome dall’Alta Valle dell’Aniene. Il suo corso secondo Frontino, era sotterraneo per ragioni tattiche. In seguito, dopo circa Novanta anni, la quantità d’acqua portata da questi due acquedotti era diventata insufficiente; oggi le sorgenti non esistono più, forse, si sono prosciugate. Nel III secolo a.C. la città di Roma aveva undici acquedotti, che sostentavano una popolazione di oltre un milione di persone. Nel tempo i maggiori acquedotti, si sono dimostrati affidabili e duraturi, alcuni fino all’età moderna altri sono parzialmente in uso. I metodi di costruzione e manutenzione degli acquedotti, sono indicati da Vitruvio nel suo lavoro “De Architectura” del I secolo a.C.

Frontino fornisce più dettagli, proprio perché il suo lavoro era a stretto contatto con gli acquedotti e questo si deduce nella sua opera: “De Aquae ducto Urbis Romae”. La conoscenza degli acquedotti è notevolmente aumentata da quando Rodolfo Amedeo Lanciani scriveva nel suo lavoro “Topografia di Roma: I Commentarii di Frontino intorno le acque e gli acquedotti, silloge epigrafica acquaria”, pubblicato (1880) a Roma, nella tipografa Salviucci. Una posizione di assoluto rilievo tra Ottocento e Novecento, è occupata da Thomas Ashby, un archeologo britannico che ha approfondito lo studio e le ricerche degli acquedotti e delle sue sorgenti al di fuori della città di Roma, per un motivo essenziale, una vera esclusione contro cui nulla poteva la sua volontà, per la presenza di due archeologi: il Boni e il Lanciani, che da tempo stavano studiando e operando nel centro storico di Roma; ma fu proprio il suggerimento dello stesso Lanciani a convincere Thomas Ashby di cercare nella campagna romana, il cosiddetto “Suburbium, Suburbio”, un’area di transizione, di cuscinetto tra città e campagna, che oggi diremmo periferia o estrema periferia. Per capire lo spirito del suo lavoro, è necessario ripercorrere i sentieri da lui seguiti, ancora oggi, noti soli a pochi. Ashby oltre allo studio dei testi storici e al profondo sapere dei testi  classici come Frontino, unisce l’assoluta conoscenza della campagna romana. L’opera di Ashby: “Gli Acquedotti dell’Antica Roma”, è fondamentale ancora oggi, perché se non ci avesse lasciato il suo studio sugli acquedotti, oggi non avremmo più la possibilità di conoscerli. Thomas Ashby tre settimane prima di morire, depositò il 15 maggio 1931 il suo lavoro, un “manoscritto” di 925 pagine, nelle mani dell’editore Clarendon, (Casa Editrice inglese: Clarendon Press), collegata all’Oxford University Press; aveva intrapreso questo studio prima del 1908. L’opera fu in seguito pubblicata postuma nel 1935. Thomas Ashby considerava il suo studio sugli acquedotti, il lavoro più importante della sua vita. Gli Acquedotti romani furono paragonati per la loro magnificenza, alle Piramidi d’Egitto e alle opere architettoniche dell’antica Grecia. Le grandi opere idrauliche costruite dagli antichi romani, sono lodevoli per la precisione con la quale sono state realizzate, come l’acquedotto Vergine, costruito da Agrippa nel 19 a.C. che ha una pendenza media di 17,5 cm a chilometro. Questi acquedotti che si ergono maestosi nella Campagna Romana, hanno un fascino straordinario ed una bellezza particolare, che li ha resi celebri in tutto il mondo, infatti, sono stati citati sia dagli autori classici, latini e greci, sia da autori moderni, tra i quali “Shakespeare e Goethe”, ed è proprio Johann Wolfgang Von Goethe che scrisse nella sua opera Viaggio in Italia: “Questi uomini hanno lavorato per l’eternità”.  Info: per visite guidate, telefono: 060608. www.sovraintendenzaroma.it

Sergio Salvatori


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