Intervista al Presidente Roberto Formigoni: “Una storia popolare” lunga mezzo secolo.

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Chiamo Roberto Formigoni per proporgli una intervista. E’ da poco uscito in libreria con “Una storia popolare”, scritto con Rodolfo Casadei ed edito da Cantagalli. La prefazione è vergata dal Cardinale Camillo Ruini, Presidente della Cei ed anima di raccordo fra le due estremità del Tevere.

Sto parlando con un signore che è stato fra gli uomini più potenti d’Italia: diciotto anni di governo di Regione Lombardia, la regione più importante del Paese. A lui rimproverano molto, certamente troppo. Errare è umano, noi cattolici lo sappiamo bene. Ma date a Roberto Formigoni quel che è di Roberto Formigoni. Vale a dire l’aver fatto di Regione Lombardia un pezzo d’Europa in Italia. Mi colpisce la dignità e la compostezza istituzionale con cui il “Celeste” ha affrontato tempi difficili. Sorride, si appassiona. La voce si trasforma quando affrontiamo il capitolo della sanità lombarda, un’eccellenza di cui, insieme a molti altri, Formigoni è l’autore principale.

“Una storia popolare” durata oltre cinquant’anni e che, come ci dice il Presidente, è destinata pur in forme diverse a proseguire.

Presidente Formigoni, come ha vissuto questi anni e mesi contrassegnati dall’epidemia, oltretutto in una delle Regioni più colpite come la Lombardia?

 

La Lombardia è stata la prima Regione italiana ad essere colpita. Anzi, la prima regione del mondo al di fuori della Cina ad essere colpita in misura violentissima. E’ stato un periodo di sofferenza molto acuto per tante persone. Sofferenza che è stata amplificata quando si è scatenata una battaglia politica, del tutto ingiustificata, nei confronti della gestione di Regione Lombardia.

Personalmente non ho sofferto, anche perché seguivo e capivo che la scienza e le autorità politiche e sanitarie, al netto di qualche errore, stavano rispondendo tutto considerato bene all’emergenza.

 

Partirei dall’inizio della sua storia. Dal Roberto Formigoni tredicenne che decide di partecipare ad una avventura collettiva come Gioventù Studentesca. Cosa la spinse ad entrare nel movimento?

 

Sono stato educato da una famiglia cattolica. Soprattutto la mamma era una cattolica praticante ed il papà, trascinato in chiesa dalla mamma, anche. Come tantissimi miei coetanei di allora cominciavo a sentire l’educazione cattolica tradizionale ricevuta inadeguata rispetto alle esigenze di un adolescente che stava diventando giovane. Crescendo mi ponevo domande nuove ed avevo bisogni altrettanto nuovi. Nonostante la mia fosse una fede radicata, la forma d’allora non mi bastava. Sentii l’esigenza di cercare di più e fui fortunato ad incontrare una persona come Angelo Scola – che più tardi sarà Vescovo e Cardinale – il quale  mi invitò a frequentare Gioventù Studentesca.

 

Da Gioventù Studentesca a Comunione e Liberazione. Dunque l’incontro con un uomo e sacerdote che lascerà una traccia indelebile nella sua vita: Don Luigi Giussani.

 

Attraverso la Gioventù Studentesca di Lecco ed Angelo Scola, nei primissimi anni di università, conobbi Don Luigi Giussani che mi rivelò la forza trascinante, rivoluzionaria del Cristianesimo attraverso l’esperienza di Comunione e Liberazione. Il cristianesimo nuovo proposto dal movimento non era più ridotto a riti oppure a norme morali da seguire o a semplice teoria. Don Giussani mi presentò il Cristianesimo come Avvenimento. Il Cristianesimo è l’avvento di Cristo che entra nella nostra vita di uomini e la trasforma, la cambia dall’interno. Cristo ci dice che tutto ciò che è umano a Lui interessa: le speranze, il desiderio di felicità, di pienezza, di conoscenza.

Sentii tutto questo corrispondere in pieno a me stesso e quel che allora ricercavo.

 

Il primo ricordo, la prima immagine che le viene in mente di Don Giussani?

 

Sono tantissime. Il primo incontro fu durante una lezione che lui venne a tenere a Lecco. Un Don Giussani sul palco che usa parole completamente inedite nel presentare il Cristianesimo. Ma l’immagine più vera e che sento più mia è il Don Giussani che mi vuole bene, che ha per me un amore profondo e che quindi mi segue anche da lontano. Come quando, nonostante i suoi mille e mille impegni, mi telefonava dicendomi: “Dai, andiamo a pranzo insieme!” perché ha capito che sto attraversando un momento di difficoltà. Don Giussani non mi ha mai domandato nulla su ciò che facevo in politica, da deputato prima e poi da Presidente di Regione Lombardia. Sulla politica ero io che andavo a chiedergli un parere. Il suo era un argomentare, un aiutarmi a maturare io stesso la soluzione migliore.

 

Quand’è che decide di divenire Memores Domini, consacrando tutta la sua vita a CL?

 

Quando fui agli ultimissimi anni dell’università. Era necessario, per entrare nei Memores Domini, aver concluso il proprio ciclo di studi.

 

Cosa implicava essere un giovane cattolico, ciellino, nell’Italia degli anni ’70?

 

In quegli anni ero Presidente di Gioventù Studentesca a Lecco e responsabile di tutti gli adulti del movimento, sempre a Lecco. Don Angelo Scola, che era il punto di riferimento della nostra comunità, volle che assumessi queste responsabilità. Il Movimento Studentesco, allora, si divise in vari gruppi e gruppuscoli: “Avanguardia operaia”, “Lotta Continua” e molti altri in costante rapporto con gli estremisti di sinistra. L’obiettivo era impedire l’agibilità politica dei cattolici di Comunione e Liberazione nelle università e nelle scuole. I partiti non c’erano, non c’era nessuno salvo loro ( che ci attaccavano costantemente) e noi.

Vorrei ricordare i nostri studenti che subirono la violenza fisica in quegli anni: nel gennaio del 1975 noi subimmo due gravissimi attacchi. Il 14 gennaio , a Milano, un gruppo del movimento studentesco attaccò dei ragazzi di Cl e si accanì su una ragazzina di quattordici anni che frequentava il IV Ginnasio, colpita al basso ventre fu ricoverata in ospedale. Mentre il 29 gennaio, ricordo perfettamente queste date, a Roma un gruppo di universitari di Cl vennero attaccati da alcuni fascisti. Due ragazzi dei nostri furono accoltellati.

 

Anni violenti…

 

Fu allora che un giornalista del Corriere della Sera, Walter Tobagi,  successivamente vittima delle Br, pubblicò in prima pagina un articolo che cominciava così: “Ma chi sono questi di Comunione e Liberazione, attaccati dall’estrema sinistra a Milano e dall’estrema destra a Roma?

Per la prima volta un articolo onesto,  perché in precedenza ci avevano dedicato soltanto fake news!

 

Lei poi deciderà di impegnarsi in politica, venendo eletto in Parlamento nelle fila della Dc. Come andò?

 

Nel 1975 fondiamo il Movimento Popolare. Perché ormai questo agone politico che si svolgeva nelle università, nelle scuole, nelle fabbriche in cui avevamo un numero di lavoratori tutt’altro che esiguo, aveva finito per assorbire quasi totalmente le attività di Comunione e Liberazione. Don Giussani volle che Cl rimanesse quel che era e che è tutt’ora, una comunità cristiana di educazione alla fede. Ci invitò a dar vita ad una altra organizzazione che ricercasse alleati anche all’esterno di Cl.

Il Movimento Popolare voleva riprendere la tradizione popolare di inizio secolo. Demmo vita a centri culturali, a dibattiti, a scuole popolari e cooperative per cercare di trovare lavoro a chi ne avesse bisogno o per sostenere le famiglie in difficoltà. Fu naturale, per noi, votare la Democrazia Cristiana perché avevamo imparato da Don Giussani e dalla gerarchia della Chiesa la richiesta dell’unità dei cristiani anche in politica. Nel 1975, alle amministrative, candidammo ed eleggemmo, soprattutto in Lombardia e nel nord , un paio di centinaia di Consiglieri Comunali. Nel 1976 partecipammo alle elezioni politiche candidando quattro ciellini, in quattro collegi diversi ed eleggendoli deputati. Ricordo che il Segretario della Dc di allora, Zaccagnini, al successivo Consiglio Nazionale ci ringraziò per il contributo che avevamo dato alla Dc, indicato da lui come un milione di voti.

 

Negli anni ’90 crolla la Prima Repubblica sotto la scure di Tangentopoli. Tutto ebbe inizio dalla Lombardia, da quella “Milano da bere” tanto demonizzata. Cosa voleva dire quella espressione?

 

“Milano da bere” era uno slogan della stampa. Non dimentichiamo la crescita economica degli anni ’80: Craxi potè annunciare, dando un po’ troppo il merito a se stesso, che il Pil italiano aveva superato quello inglese. Dunque il nostro divenne il quinto paese più ricco al mondo. Merito, evidentemente, dei lavoratori e degli imprenditori italiani ma anche della politica del pentapartito. Nell’85 non dimentichiamo il referendum sulla scala mobile che costituì una cocente sconfitta per il Pci , consentendo al paese di crescere ulteriormente.

 

Lei immagino abbia conosciuto Craxi: ne conserva qualche ricordo?

 

Innanzitutto noi eravamo sostenitori, all’interno della Dc, di una collaborazione con il Psi e gli altri partiti laici, il cosiddetto pentapartito. Mentre la corrente di sinistra, di base, era più incline ad un rapporto con i comunisti. Non abbiamo mai avuto il timore di esprimere questo nostro convincimento e Craxi, per questo, ci apprezzava.

Nel 1983 l’installazione dei missili SS20 da parte di Mosca e del patto di Varsavia comportarono uno squilibrio ed una minaccia pericolosissimi per l’Europa. La potenza sovietica, con le testate atomiche, era in grado di raggiungere tutte le capitali europee. Giustamente la Nato decise di reagire con l’installazione di missili in varie basi, tra cui quella siciliana di Comiso. I partiti comunisti d’occidente furono richiamati e lautamente finanziati dall’Urss perché facessero una propaganda ostile all’iniziativa della Nato. Noi non fummo succubi dei giornaloni e dell’opinione pubblica marxisteggiante ed il 7 novembre 1983, il Movimento Popolare guidato da Formigoni, indisse una grande manifestazione all’insegna del titolo: “L’altra faccia della pace”.

Invitammo anche un paio di dissidenti russi per rivelare che la Russia perseguitava in casa sua chi non la pensava come lei, reprimendo sia il dissenso religioso che laico. Su invito personale di Bettino Craxi, che era allora Presidente del Consiglio, la manifestazione ebbe anche l’adesione del Psi. Sfilammo insieme con il Sindaco Tognoli.

Un anno dopo, nell’84, lei si candida per la prima volta al Parlamento Europeo..

 

Sì, mi candido nelle liste della Dc e risulto il primo degli eletti superando l’allora Ministro degli Interni Scalfaro: 450.000 voti che divennero 501.000 nell’1989.

 

Nel frattempo, sotto le macerie del crollo dei partiti, fa irruzione Berlusconi.  Come nasce l’idea di candidarla alla presidenza di Regione Lombardia, nel 1995?

 

Accadde che alcuni amici di Forza Italia ed Alleanza Nazionale mi chiesero di essere il candidato Presidente di Regione Lombardia. Io accettai, osservando il sorrisetto di quanti pensavano fosse una retrocessione. Io, invece, avevo intuito che le Regioni avrebbero avuto un grande futuro divenendo, come poi fu, protagoniste della vita politica italiana. Mi entusiasmava l’idea di governare la più importante regione italiana e di farlo attraverso il principio della sussidiarietà.

 

Da quel 1995 saranno diciotto anni di governo di Regione Lombardia. Decenni in cui vengono portate aventi molte riforme: nel 1997, ad esempio, quella della sanità. Cosa si proponeva Formigoni insieme alla sua squadra?

 

Attraverso la nostra riforma, della Giunta e dei tanti esperti a cui ci siamo rivolti, intendevamo garantire due principi fondamentali: la libertà di scelta, in primo luogo. Noi consegnammo ai nostri cittadini la libertà di scegliersi il proprio medico di fiducia e la libertà di farsi ricoverare nell’ospedale che ritenevano più adeguato alle loro necessità. Prima era la burocrazia regionale a decidere.

In secondo luogo la chiamata di alcune, poche, realtà private che coinvolgemmo nel sistema sanitario regionale. Le migliori, quelle che erano ai primissimi posti nelle riviste internazionali: penso all’Istituto Oncologico del Prof. Veronesi o al S.Raffaele. Non ci fu alcuna privatizzazione, ma queste strutture private accettarono le regole del sistema pubblico. Io dissi loro che non avremmo pagato una lira in più rispetto a ciò che pagavamo per le strutture pubbliche e che avrebbero subito i nostri controlli per un obbligo di trasparenza verso i cittadini lombardi.

Avvenne il miracolo! Avvenne cioè che la gente, potendo scegliere dove andare a farsi curare, sceglieva l’ospedale che riteneva adatto a sé, anche se in questo ospedale fino a tre mesi prima avrebbe pagato un certo numero di milioni al giorno per la degenza. Invece anche il poveraccio poteva andare a farsi curare gratis negli ospedali che, fino a qualche tempo prima, erano soltanto per i ricchi. I cittadini lombardi ne furono talmente entusiasti che mi hanno eletto per quattro mandati di seguito e sempre con consensi crescenti. La sinistra non l’ha ancora digerita questa riforma, dopo venticinque anni! Perché è una riforma di grandissimo impatto sociale che avrebbe dovuto farla proprio la sinistra se fosse stata vicino alla povera gente, ma non lo era!

In questi anni di pandemia è saltato agli occhi come la sanità territoriale lombarda sia stata molto indebolita da chi l’ha succeduta alla guida di Regione Lombardia. Mi sbaglio?

 

I medici di famiglia, del territorio, sono un elemento essenziale della sanità di una regione. Assieme agli ospedali sono i due pilastri su cui si regge la sanità. Purtroppo chi mi succedette sbagliò la riforma e mortificò, indebolì tantissimo la medicina territoriale per cui la sanità lombarda non riuscì ad avvertire con anticipo l’arrivo di questa pandemia. Già dal settembre, ottobre del 2019 alcuni medici avevano notato delle polmoniti strane, ma non avendo la possibilità di interloquire con la Regione non potevano lanciare l’allarme. Se ci fosse stata la mia medicina territoriale la Lombardia si sarebbe accorta con largo anticipo e avrebbe potuto attrezzarsi meglio.

 

Presidente, lei ha raccontato che alcuni anni fa Berlusconi, in una occasione pubblica, disse agli astanti, indicandola: “Vi presento il nuovo Presidente del Senato!”. Poi qualcosa accadde e lei non andò a presiedere Palazzo Madama. Il suo rapporto con Berlusconi è stato sempre libero e, in certo senso, travagliato..

 

Berlusconi nutriva molta stima per Formigoni. Quando gli chiesi ,dopo tredici anni di Regione Lombardia, di passare alla politica romana capii che non mi voleva Ministro perché temeva gli facessi ombra o che gli avanzassi richieste che lui non poteva accettare riguardo, ad esempio, le politiche per la famiglia. Per cui, dato che Fini fu designato Presidente della Camera, quello del Senato spettava a Forza Italia. Gli dissi, allora, che avrei potuto farlo io. Lui abbracciò entusiasticamente questa possibilità e addirittura lo disse pubblicamente nell’occasione da lei ricordata. Poi fece marcia indietro, non ho mai capito il perché, cambiando idea nel giro di due settimane. Il mio rapporto con Berlusconi è stato altalenante, ma in tutti gli anni in cui ho governato la Lombardia non ha mai chiesto nulla, lasciandomi piena autonomia.

 

Il suo libro reca la prefazione del Cardinale Camillo Ruini, una delle personalità più eminenti della Chiesa recente. Presidente della Cei in anni difficili. Com’è cambiata, se è cambiata, la Chiesa italiana?

 

Il mio rapporto con il Cardinale Ruini è stato e continua ad essere di grandissima devozione. Era veramente la guida di una Chiesa che conosceva i suoi diritti, che non aveva paura di testimoniare la sua fede e di proporla a tutti, in Italia, anche esprimendo il suo punto di vista su ciò che accedeva nel mondo sociale e politico. Quando cu fu la legge 40 sulla fecondazione eterologa Ruini dialogò con noi ed insieme scegliemmo la via dell’astensionismo, l’unica che potesse risultare vincente. E’ anche una finissima mente politica. Ricordo quando, nell’allora Pdl, si diceva che avremmo dovuto proporgli di divenire il Segretario del partito (ride).

Le sue parole mi hanno commosso e testimoniano la straordinaria grandezza di quest’uomo.

 

Lei ha dichiarato che non sarà più un giocatore, preferendo fare il “coach”. Conferma?

Dissi già quando terminò la mia esperienza al Senato il 4 marzo 2018 che non mi sarei ripresentato alle elezioni, dopo trentaquattro anni di vita politica. Tuttavia, la politica è una passione che non mi ha minimamente abbandonato. Dissi allora e confermo adesso che continuerò a far politica, ad approfondire e a studiare. In questo periodo in cui sono costretto in casa più di quanto vorrei studio e leggo molto e ci sono tanti, giovani e non giovani, che vengono a chiedermi consigli e pareri. Abbiamo organizzato una scuola con gruppetti limitati di persone che posso accogliere nella mia non grande casa. Quando avrò più possibilità di movimento la organizzeremo meglio perché c’è un fondamentale bisogno che dei giovani, in particolar modo i giovani cattolici, facciano politica studiando e sviluppando competenze. La politica va rinnovata ed i cattolici devono tornare protagonisti.

L’incompetenza al potere, del resto, abbiamo visto quanti e quali disastri abbia prodotto.

Un libro utile, ben critto ed assai documentato che descrive con accuratezza alcuni capitoli dirimenti della storia politica italiana. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione e Roberto Formigoni

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Sono laureato in Scienza della Politica con tesi dal titolo: ”L’eccezionale: Storia istituzionale della V Repubblica francese”. Socialista liberale libertario e radicale. Mi sono sempre occupato di politica e comunicazione politica collaborando a campagne elettorali e referendarie. Ho sempre avuto una passione per il giornalismo d’opinione e in News-24 ho trovato un approdo naturale dove poter esprimere liberamente le mie idee anche se non coincidono sempre con la linea editoriale della testata. Ma questo è il sale della democrazia e il bello della libertà d’opinione.