L’angolo delle curiosità: Dante Alighieri

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Parlare di sé stessi è lecito a due condizioni: quando si tratti di difendersi dall’infamia, e cioè dalla cattiva fama cui ci espongono le circostanze, o a fini di  ammaestramento, allorché risulti utile addurre la propria esperienza personale. (Dante, nel Convivio)

          «Dei nostri sommi poeti scrive Giacomo Leopardi -due sono stati sfortunatissimi, Dante e il Tasso. Di ambedue abbiamo e visitiamo i sepolcri fuori delle loro patrie. Ma io, che ho pianto sopra quella del Tasso, non ho sentito alcun moto di tenerezza a quello di Dante, e così credo che avvenga generalmente… Noi veggiamo in Dante un uomo d’animo forte, un animo bastante a reggere e sostenere la mala fortuna; un uomo che contrasta e combatte con essa, colla necessità, col fato. Tanto più ammirabile certo, ma tanto meno amabile e commiserabile. Nel Tasso veggiamo uno che è vinto dalla sua miseria, soccombente, atterrato che ha ceduto alle avversità, che soffre continuamente e patisce otre modo»

Dante nel fondo più buio del suo Inferno caccia chi ha ingannato le persone che di lui avevano fiducia: non esiste una delusione più grande, non esiste tradimento più vile.

          La filosofa spagnola Maria Zambrano (Velez Malaga 1904-Madrid 1991), la cui esistenza è stata caratterizzata dall’abbandono della Patria, tanto amata, e dall’esilio ha dedicato due scritti, Dante specchio umano e L’inferno di Dante, nei quali sottolinea come «il peregrinare dell’esilio si accordò perfettamente con il peregrinare della mente e del cuore di Dante». Nella prima opera all’immortale poeta fiorentino, scrive la Zambrano, è accaduto «di dover pagare la propria lealtà intatta con esilio, povertà, soggezioni e occupazioni equivoche, condanna a morte crudele e infamante a un tempo solitudine».

          Dante quando risponde a san Pietro nel XXIV canto della terza Cantica, il Paradiso, dice: «Fede è sustanza di cose sperate / e argomento de le non parventi; / e questa pare a me sua quiditate».

          Guido Cavalcanti fu il grande amico di giovinezza di Dante che apparentemente sembra scomparire dalla Commedia al di là di due rapide menzioni. In realtà l’amico, secondo alcuni studiosi, fu musa silenziosa del poema, diventa l’interlocutore nascosto ma essenziale, il riferimento polemico per la concezione dell’amore che Dante ha sviluppato e che è alla base del suo viaggio, cuore e sintesi del suo capolavoro.

Famose sono le seguenti espressioni di Dante che si trovano nel suo capolavoro: la Divina Commedia: Uomini fatti per seguir virtute e conascenza, (Inferno Canto XXVI vv. 119-120) e Uomini siate e non pecore matte.  (Paradiso, canto v.80), il monito di Beatrice.

La Società dantesca italiana, che ha sede a Firenze dal 1888, ha dato vita ad una nuova edizione critica della Commedia di Dante, curata da Giorgio Inglese, un filologo di grande statura, famoso anche per i suoi studi su Niccolò Machiavelli. La nuova edizione completa quella che avevamo prima, curata nel 1966-1967 dall’esimio professore Giorgio Petrocchi. Da allora, infatti, è migliorata la conoscenza dei codici antichi che hanno trasmesso il poema.

Claudio Marazzini, docente di storia della lingua italiana, ci ricorda che «non dobbiamo mai dimenticare che non abbiamo alcun autografo di Dante, che i suoi versi furono trasmessi con errori fin dalla prima diffusione, che la punteggiatura allora non esisteva, per cui i segni di virgola, punto, virgolette ecc. che troviamo nella Commedia sono introdotti dagli editori moderni.


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