Lo ha detto bene il compagno Peppino Caldarola, giornalista e politico di lungo corso: “Occorre riabilitare Craxi”.
Ovviamente Caldarola si rivolge al suo mondo, quello dei post comunisti. Difatti, ha ragione Stefania Craxi quando ricorda che il centrodestra è molto più consapevole della sinistra sui meriti di Bettino.
“Io sono uno degli uomini più a sinistra di questo Paese”, diceva di sé l’ex Presidente del Consiglio. Il primo inquilino di Palazzo Chigi a provenire dalla storia socialista. Quando Pertini gli conferì l’incarico Bettino, che non aveva una particolare propensione all’eleganza, si presentò in blue jeans. Pertini lo fulminò :”Vai a cambiarti immediatamente!”.
Craxi, alla fine dei cinquanta, si reca in Ungheria. L’atmosfera è grigia, oppressiva. “Qui non è come pensate voi, i comunisti qui vogliono tutto. Non siamo liberi!”. Queste parole degli ungheresi destano in Craxi la consapevolezza che il socialismo non poteva essere complice di un totalitarismo illiberale come quello comunista. Poi, i carri armati sovietici sfilano su Praga. E’ lì, in quel momento, che Bettino diventa anti comunista. Per il Pci, da quel momento in poi, il Segretario del Psi diventa il nemico numero uno. Per dirla insieme a Tonino Tatò, storico portavoce di Enrico Berlinguer, un gangster.
Dura da molti anni la difficoltà dei comunisti e dei suoi eredi nel riconoscere a Craxi di aver provato a realizzare, in Italia, una sinistra moderna e liberale. Sulla scia di quel che scrisse negli anni ’30 Carlo Rosselli in quel grande libriccino che è “Socialismo liberale”. La rivoluzione francese, osservava Rosselli, essenzialmente borghese, non è che la precondizione per un sommovimento che riguardasse il proletariato. Non una contrapposizione, quindi, tra “padroni” e resto del mondo, ma un innesto dei meriti e dei bisogni. Una politica che, per esempio, Milano conobbe negli anni cosiddetti “da bere”, attraverso l’azione di due grandi sindaci come Tognoli e Pillitteri, entrambi socialisti.
Se Beppe Sala è al timone di una delle più grandi capitali europee, lo deve a quella stagione di buon governo ingiustamente descritta come un sistema corruttivo e di malaffare.
Milano non può ignorare, quindi, l’azione politica ed istituzionale di un suo figlio illustre. In questo senso, appare davvero deprimente la polemica circa l’intitolazione di una via o di una piazza. Di cosa si dovrebbe discutere , in un Paese normale? Sarebbe soltanto un provvedimento da approvare all’unanimità a Palazzo Marino.
Il Pd, il partito in cui milita Sala, dovrebbe riconoscere a distanza di un ventennio dalla morte di Craxi, che l’intuizione di una sinistra liberalsocialista, libera cioè dal giogo del comunismo, era non solo indispensabile per ammodernare il sistema politico italiano, ma anche giusta.
Diamo, allora, a Bettino quel che è di Bettino.
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