Viaggio nell’Arte del secondo Novecento: Pop art

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Pop art

Un artista è uno che produce cose di cui la gente non ha bisogno, ma che egli, per qualche ragione, pensa sia una buona idea darle.

Andy Warhol

La Pop art, abbreviazione di Popular Art, è una corrente artistica che nasce alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso nelle principali città della Gran Bretagna e degli Stati Uniti d’America. L’invenzione del termine è fatta risalire al critico d’arte americano Lawrence Alloway che l’avrebbe usato, per la prima volta, nell’accezione di pop culture, riferita a tutti i prodotti della cultura popolare.

Il manifesto della Pop art è rintracciabile in un collage di Richard Hamilton (1922-2011) intitolato «Che cosa rende le case di oggi così diverse, così attraenti?», prodotto nel 1956, nel quale figura per la prima volta il termine Pop. Intorno al 1960 la Pop art arriva negli Stati Uniti d’America, soprattutto a New York, per impulso e protezione dell’illuminato gallerista e mercante d’arte italiano Leo Castelli.

In America la Pop art acquista caratteri nuovi e precise connotazioni; gli artisti tendono a rivalutare il significato dell’oggetto come “immagine”  in modo diretto, senza mediazioni e creano le loro opere attingendo forme, oggetti banali e motivi dall’ampio repertorio delle tecniche e dei mezzi di comunicazione di massa, propri della civiltà dei consumi: pubblicità, immagini televisive e dei rotocalchi, fumetti, cartelli di segnaletica stradale, idoli del cinema e della musica rock.

Gli oggetti di consumo quotidiano (cibi in scatola, bibite ecc.), raffigurati fuori dal loro abituale contesto, isolati o sovradimensionati, diventano protagonisti dell’opera d’arte. In questo modo l’arte si riaccosta alla realtà di ogni giorno e, con ironia, denuncia la ripetitività e la produzione di serie della cultura di massa.

Roy Lichtenstein, uno dei maggiori interpreti della Pop art dichiara: «Un mio quadro non sembra il dipinto di qualche cosa, ma sembra la “cosa stessa”». In questa dichiarazione l’attenzione è rivolta essenzialmente agli oggetti quotidiani, alle nuove icone della civiltà dei consumi che, con lucida e ironica ricognizione analitica, sono sottoposti a un deciso processo di dissacrazione, in contrapposizione all’esasperato individualismo dell’arte informale.

Anticipatori di questa corrente artistica del secondo Novecento sono considerati  Robert Rauschenberg, (le cui composizioni sono fatte di oggetti trovati tra i rifiuti) e Jasper Johns (con le sue impeccabili riproduzioni della bandiera americana) perché con loro si attua il recupero dell’immagine superando la pittura gestuale statunitense; essi realizzano i primi combine-paintings che sono quadri realizzati sulle superfici pittoriche con  i materiali disparati e oggetti-simbolo della opulenta società di massa.

I principali protagonisti della Pop art sono stati Andy Warhol (1928-1987), Roy Lichtenstein (1923-1997), Claes Oldenburg (1929) e Jim Dine (1935), Tom Wesselmann (1931-2004), George Segal (1924-2000), James Rosenquist (1933-2017) e Peter Blake (1932).

I più famosi esponenti, Andy Warhol e Roy Lichtenstein, hanno largamente utilizzato la riproduzione fotografica, sia presentata come tale e ripetuta in sequenza, sia variamente manipolata. Mentre Lichtenstein ha soprattutto usato immagini dei fumetti, Warhol ha scelto come soggetto avvenimenti pubblici di larga risonanza o famosi personaggi cinematografici (Marilyn Monroe) o prodotti di largo consumo: detersivi, bibite (le bottiglie della Coca Cola) e zuppe (le scatole di Campbell’s soup).

L’ossessiva ripetizione della stessa immagine insiste sulla proposta del feticcio banalizzandolo, esasperandolo e rendendolo sempre più virtuale, avulso dalla realtà fisica. Nella rielaborazione delle immagini fotografiche Warhol utilizza il procedimento seriale come nella produzione industriale e nella comunicazione massmediatica, con un effetto straniante di svuotamento semantico delle immagini ripetitive.

La Pop art, che può essere ricollegata alla corrente del dadaismo (1916), si è manifestata in maniera clamorosa al pubblico europeo alla Biennale di Venezia del 1964 e ha avuto ripercussioni soprattutto sull’attività del gruppo di artisti francesi del Nouveau réalisme, che si caratterizzava per l’attenzione rivolta in modo esclusivo agli aspetti “minimi” della vita urbana: cartelloni pubblicitari, spazi periferici abbandonati, rifiuti ecc.

In Italia un folto gruppo di artisti (Mario Schifano, Gianni Bertini, Enrico Baj, Mario Ceroli, Giosetta Fioroni, Franco Angeli, Tano Festa, Cesare Tacchi, Lucio Del Pezzo, Mimmo Rotella, Pistoletto) con le loro opere provocatorie e “rivoluzionarie” si ritrovarono a Roma intorno alla cosiddetta «Scuola di piazza del Popolo».

In questo movimento degli anni Sessanta cultura Pop e stile di vita si sono strettamente intrecciati. Infatti i contenuti figurativi, che si fondano sulla quotidianità, le forme, gli strumenti della Pop art dimostrano apertamente le peculiarità essenziali che si associano con l’atmosfera culturale e il modo di vivere di quegli anni.

La Pop art, tendenza artistica diffusa in molti Paesi, guardata oggi in prospettiva ormai storica, si configura forse come l’ultima, e perciò mitica, avanguardia del secondo Novecento.   

 

 

 

 


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