Edgar Morin

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I ricordi mi vengono incontro  (Seconda parte)

 Un razionalismo che ignora gli esseri, la soggettività, l’affettività, la vita, è irrazionale. La razionalità deve riconoscere l’importanza dell’affetto e dell’amore, del pentimento. Vera razionalità è quella  che conosce i limiti della logica, del determinismo, del meccanicismo e sa che la mente umana non potrebbe essere onnisciente, che la realtà comporta mistero. (Edgar Morin)

Edgar Morin, grande filosofo e sociologo francese, è uno dei rari pensatori di oggi che ha compreso e raccolto la sfida che ci pone la complessità, caratteristica essenziale della società contemporanea. Pensatore transdisciplinare è universalmente riconosciuto per aver ideato il pensiero complesso, nella sua opera principale, Il metodo, in cui affronta i molteplici problemi caratteristici del nostro tempo, in particolare della relazione tra etica e politica, tra etica e scienza, tra etica ed economia.

Nel corso delle sue elaborate ricerche e rigorosi studi ha elaborato il metodo della complessità lavorando alla rifondazione su una base antropo-scientifico-filosofica del pensiero politico. Ha lavorato nei Centro studi, dove ha potuto esprimere la sua concezione aperta e transdisciplinare. È stato molto attivo nel creare Centri di studi sociologici e bio-antropologici, nel frequentare ambienti culturali multidisciplinari, nel collaborare con personaggi famosi del mondo (asiatici, buddhisti, arabi e musulmani) e con riviste scientifiche e gruppi di ricerca transdisciplinari

Come assertore del pensiero complesso, che ha avuto una diffusione internazionale, ha svolto una “missione” molto importante per una conoscenza e un pensiero complessi. Ha scritto il suo amico e collaboratore Mauro Ceruti che Edgar Morin «con la sua epistemologia della complessità ha reintegrato in un progetto enciclopedico monumentale ciò che la modernità prevalente ha separato e disgiunto: l’uomo e la natura, la mente e il corpo, il sapiens e il demens, la ragione e la passione. E in questa particolare visione complessa dell’umano ha saputo leggere, spesso isolato, i segni deboli che annunciavano i tempi nuovi».

Nei quarantasei capitoli del libro, I ricordi mi vengono incontro, Morin, oltre che esporre il suo pensiero filosofico e sociologico, ha raccontato numerosi episodi della sua vita privata e pubblica di intellettuale, di docente universitario, nei quali si possono rintracciare le sue idee e i suoi sentimenti, il carattere e il suo nomadismo esistenziale.

Nelle settecento pagine del testo sono ricordati i suoi amori per il cinema, la musica e i viaggi, le amicizie, le relazioni, le  scelte politiche, i tormenti e lutti, la  depressione e gli incontri, per citarne solo alcuni, con Heidegger, Milan Kundera, Adorno, Marcuse, Prigogine, Sartre, Raymond Aron. Numerose sono state, infatti,  le sue amicizie, in comunione di spirito e di sentimento, tenere, intense e talvolta tempestose, caratterizzate nel vissuto quotidiano da una calorosa empatia reciproca.

Edgar Morin uomo poliedrico, animato da uno spirito universalista, ha vissuto e preso parte a eventi importanti della sua vita; è stato invitato ripetutamente in numerosi convegni e congressi sulla complessità, nelle conferenze e tavole rotonde in diverse città del mondo, nei seminari annuali sulla sua vita e sulle opere, negli incontri e nei corsi universitari. Ha avuto la possibilità di visitare, continenti, paesi, città importanti, conoscere civiltà e popoli di tutto il mondo.

Nella stesura (durata tre anni) dello straordinario libro  I ricordi mi vengono incontro, scritto con estrema semplicità, accuratezza e partecipazione emotiva, con uno stile asciutto e con passione civile, le pagine più suggestive, tra i suoi numerosi e intensi soggiorni in Europa, in Africa, in Cina, in America del Nord e del Sud, sono quelle riguardanti l’Italia e gli Stati Uniti, in particolare le città di Roma e di New York.

La città “eterna” viene ricordata per le sue piazze (Campo dei fiori), le Vie (Via Frattina, via del Panico, via Sistina, via Appia ), i suoi monumenti (la nobile statua di Giordano Bruno, Palazzo Farnese, Trinità dei Monti, Villa Medici, il Pantheon), le passeggiate (Gianicolo) e i quartieri popolari (Trastevere).

Nei diversi soggiorni a New York Morin descrive in maniera profonda lo spirito di questa “geniale” metropoli fatta di “energia” dalle mille sfaccettature, che si esprime nell’innalzamento permanente dei grattacieli. Una città «Babele moderna e Babilonia antica» per la sua umanità meticciata, sempre in piena auto-creazione, dove «la solitudine della miseria e la miseria della solitudine ossessionano le sue strade con gli esclusi, i dementi, i drogati che ridono e piangono da soli».

Nei suoi numerosi ricordi, particolarmente toccante, è stata la storia de Il prigioniero, Gaston Richard, che ha dedicato, dopo aver confessato l’angoscia e il rimorso per la morte che ha causato, tutta la vita di detenuto ai compagni, nutrendo la speranza di avere una liberazione anticipata. Un personaggio straordinario che aveva bisogno di molto amore come l’autore Edgar Morin che spera abbia vissuto i suoi ultimi giorni di vita «pacificato e sereno».

La vita raccontata con grande fascino narrativo nei vari periodi, sereni e felici, tristi e difficili da Edgar Morin nel libro I ricordi mi vengono incontro, conferma e sintetizza l’idea espressa dal critico letterario francese Philippe Lejeune che «L’autobiografia è il racconto retrospettivo in prosa che un individuo reale fa della propria esistenza, quando mette l’accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della propria personalità».


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