Nato a Firenze nel 1267, fu un pittore e un architetto italiano. Varie leggende popolari sono fiorite sulla fanciullezza dell’artista, ma quasi certamente egli dovette svolgere il proprio alunnato nella bottega di Cimabue (1280).
Altrettanto importante per la sua formazione fu il contatto con gli orientamenti classicisti della contemporanea pittura romana, avvenuto a Roma o nel cantiere di Assisi dove sono state riconosciute le sue prime opere: gli affreschi con Storie dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento che si trovano sulla zona dell’alta navata della basilica si San Francesco ad Assisi; qui, nella terza campata, gli sono attribuite (ma non tutti gli studiosi concordano) le due storie di Isacco, dove spazio, figure e azione si fondono in un’ espressione di trattenuta drammaticità; nelle Storie successive, e specialmente nel pianto sul Cristo morto (4° campata), la commozione è la più intensa e si riflette nella più complessa struttura compositiva, oltre che in una più spiegata espressività drammatica.
Con lo stesso senso di umanità, Giotto rinnova qualche tempo dopo (la cronologia è tutt’ora dibattuta) il tema del crocifisso nella grande croce di Santa Maria Novella a Firenze dove il Cristo, sereno pur nell’atteggiamento doloroso, è composto in una visione di plastico equilibrio, vicina a Nicola Pisano e ad Arnolfo di Cambio.
Ancora in San Francesco ad Assisi, nella parte inferiore della navata e nella controfacciata, Giotto affrescò, con molti collaboratori, la serie della leggenda di San Francesco che iniziata nel 1296, fu forse interrotta alla 25sima storia nel 1300, allorchè l’artista dovette essere chiamato da Papa Bonifacio VIII a Roma in occasione del giubileo.
Giotto formulò la leggenda francescana partendo da una concessione del santo visto non già come asceta bensì come battagliero campione della Chiesa, consapevole del proprio ruolo storico; la sua visione narrativa si ispira ad una schietta e commossa naturalezza e alla volontà di accordare la complessa varietà dei moduli compositivi, l’aspra plasticità delle figure, la costruzione dinamica degli spazi, elementi questi ultimi che si intuiscono anche nelle opere tradizionalmente riferite al soggiorno romano, come l’affresco frammentario per la loggia del palazzo del laterano (ora nella Basilica), con Bonifacio VIII che indice il giubileo (oppure, secondo una recente ipotesi, Bonifacio VIII che prende possesso del laterano), è il mosaico per la fronte di San Pietro raffigurante la navicella degli Apostoli guidata da san Pietro, (successivamente rifatta di cui non restano che due frammenti.
Al pari di Dante nella poesia, Giotto portò a maturazione il processo di rinnovamento della lingua pittorica italiana. Questo ruolo storico gli fu riconosciuto già dai contemporanei: dallo stesso Dante fino al Cennini, secondo il quale Giotto “rimutò l’arte del dipingere di greco in latino, e ridusse al moderno; et ebbe l’arte più compiuta che l’avesse mai più nessuno”.
Discepolo di Cimabue, ma formatosi anche a Roma, come si è detto, sugli esempi del classicismo bizantino penetrato nella pittura medievale romana e della pittura classica e paleocristiana, ma non ignaro né della compatta sobrietà della scultura romanica né della dinamica lineare dell’arte gotica nell’interpretazione di Nicola Pisano e Arnolfo di Cambio, Giotto rappresentaquasi una “summa” della cultura raffigurativa del medioevo.
Affidata a opere che sono sparse quasi in ogni parte d’Italia, l’impronta di Giotto è sensibile a vari gradi, in pressochè tutte le scuole pittoriche trecentesche della penisola e talvolta, per vie mediate, anche oltralpe. Più forte che altrove è, naturalmente, a Firenze, dove la pittura del ‘300 è tutta, in senso stretto o lato, giottesca, e dove le opere di Giotto rimarranno come modello e fonte d’ispirazione ancora per gli artisti del rinascimento (Masaccio, Michelangelo). Morì proprio a Firenze nel 1337.
Guglielmo Guidi (Critico d’Arte)


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