L’angolo delle curiosità su Dante Alighieri

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Il fine del tutto e della parte è rimuovere i viventi in questa vita da uno stato  di miseria e condurli a uno stato di felicità.

Dante, dall’Epistola a Cangrande della Scala

Nel racconto del suo viaggio nell’oltretomba Dante si rivela in diversi modi: ha paura di fronte alle fiere; sviene al racconto del dramma d’amore di Paolo e Francesca (E caddi come corpo morto cade, Inferno V, 142); piange a vedere la pena che flagella il goloso Ciacco (la sozza mistura/de l’ombre e de la pioggia , Inferno VI, 100-101); mostra di essere originario di una città toscana (O Tosco che per la città del foco/vivo ten vai così parlando onesto, Inferno, X, 22-23); dichiara di essere stato allievo di Brunetto Latini (XV).

Secondo Vittorio Sermonti è un luogo comune pensare che il Paradiso, l’ultima tratta del pellegrinaggio oltremondano di Dante sia la più difficile e la più tediosa. Il famoso narratore e dantista, ritenendo errata questa idea, si è chiesto «come scongiurare che l’insofferenza concepita a scuola per la terza cantica della Commedia si perpetui lungo tutta la vita degli ex alunni, attutita appena dalle montanti ovatte dell’oblio?».

Ha scritto il famoso semiologo e scrittore Umberto Eco: «Dante si considera un innovatore in quanto inventore di un nuovo volgare. Di fronte alla pletora di dialetti italiani, che egli analizza con precisione di linguista, Dante conclude che occorre mirare a un volgare illustre (diffusivo di luce), cardinale (che funzioni da cardine e regola), regale (degno di prendere posto nella reggia di un regno nazionale, se mai gli italiani l’avessero) e curiale (il linguaggio del governo, del giure, della saggezza). Il De Vulgari Eloquentia tratteggia le regole di composizione dell’unico e vero volgare illustre, la lingua poetica di cui Dante si considera superbamente il fondatore».

Nei Musei Vaticani, nel cuore del Palazzo Apostolico, si trovano le Stanze di Raffaello, un luogo di eccezionale bellezza. Tra queste Stanze  di particolare rilevanza si trova la Stanza della Segnatura (1508) voluta dal papa Giulio II della Rovere come studio e biblioteca personale. In questo spazio davvero speciale è possibile ammirare nella Stanza del Parnaso  un primo  ritratto di Dante. Il sommo poeta è dipinto a figura intera e di profilo con il capo cinto dalla corona di alloro. Un secondo ritratto si trova nella Stanza della Disputa del SS Sacramento (1509). Dante, con il volto austero e solenne, collocato sulla destra, è inserito dopo i grandi Padri della Chiesa e teologi: Ambrogio, Agostino, Tommaso d’Aquino, Innocenzo III, Bonaventura.

Nel settimo centenario della morte di Dante Alighieri, il papa Francesco ha pubblicato una Lettera apostolica dedicata al messaggio e alla figura del sommo poeta intitolata Candor lucis aeternae e ha invitato tutti a studiare e a leggere Dante e a seguirlo, come «profeta di speranza e testimone del desiderio di infinito insito nel cuore dell’uomo». Anche i predecessori dell’attuale pontefice, Benedetto XV e Paolo VI hanno dedicato nelle ricorrenze centenarie, rispettivamente un’enciclica (In praeclara summorum, 1921) e una Lettera apostolica (Altissimi cantus, 1965), dimostrando il legame forte che lega Dante alla Chiesa e al magistero dei successori di Pietro.

Paolo VI ha scritto: «Non rincresce ricordare che la voce di Dante si alzò sferzante e severa contro più d’un Pontefice Romano, ed ebbe aspre rampogne per istituzioni ecclesiastiche e per persone che della Chiesa furono ministri e rappresentanti».

Dante, incrollabile credente e raffinato teologo cristiano, era bene informato nei dettagli sulle vicende che causarono i conflitti ai vertici della Chiesa nel primo quindicennio del ‘300, da Bonifacio VIII a Clemente V. A quest’ultimo pontefice il sommo poeta nulla perdona perché ha tradito l’imperatore con l’inganno (Paradiso XVII, vv.82-83); lo taccia di doppiezza (Paradiso XXX, vv.142-144) e lo condanna nel finale del canto XXXII del Purgatorio.

 

 

 

 

 


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