Le opere narrative di Umberto Eco

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Il nome della rosa

L’uomo è creatura della narrazione: dalla nascita alla morte ciascuno di noi non fa altro che raccontare, raccontarsi e farsi raccontare delle storie;  e questo infinito narrare ha un esito sorprendente, la costruzione sempre intrapresa e sempre rinnovata del senso del mondo e di noi nel mondo.      Giuseppe O. Longo

Nella sua Autobiografia intellettuale lo studioso di semiotica, Umberto Eco, ha dichiarato che si considera «un filosofo che ha anche scritto sette romanzi», nei quali si trovano molti temi filosofici e che costituiscono un altro dei modi in cui ha filosofato. Le sue narrazioni sono interconnesse alle questioni filosofiche perché l’intellettuale italiano, il saggista e il massmediologo più importante della seconda metà del Novecento, parafrasando il motto di Ludwig Wittgenstein «di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere», è convinto che «di ciò di cui non si può teorizzare si deve narrare». L’intera produzione narrativa di Eco, infatti, è un modo per raccontare in forma narrativa ciò che l’autore non è stato in grado di dire in termini filosofici.

Il primo romanzo pubblicato, nel 1980, è stato Il nome della rosa (Bompiani editore) che ha vinto il  premio Strega l’anno successivo ed è diventato subito, per il successo planetario, un best seller internazionale. Con questo romanzo di debutto, intriso di semiotica e di filosofia, Umberto Eco è diventato noto al grande pubblico di lettori, in Italia e all’estero. Il libro ha venduto oltre cinquanta milioni di copie ed è stato tradotto in quaranta lingue.

Questa prima prova letteraria, molto avvincente, è un dotto e appassionante romanzo giallo-filosofico di ambientazione medievale, basato su una felice mescolanza dell’elemento narrativo con quello storico-saggistico, la cui trama si svolge nell’anno del Signore 1327 sullo sfondo d’una abbazia benedettina del Nord Italia.

Il nome della rosa è un romanzo ambientato nel Medioevo, epoca storica entrata nell’immaginario collettivo; è un thriller gotico che ha al centro della trama una labirintica biblioteca e il secondo libro della Poetica di Aristotele, dedicato alla commedia e al riso, ritenuto perduto. In quest’opera c’è un dibattito sul problema della verità nel modo in cui poteva essere stato analizzato, nel XIV secolo, da Guglielmo di Baskerville un seguace di Ockham in crisi. L’avventura di questo  monaco francescano svela i misteri di una serie di delitti (sette misteriose morti di diversi monaci. che avvengono nel corso di una settimana) in un monastero, usando i fatti e la ragione, in un torbido clima da caccia alle streghe.

L’incipit di questo romanzo popolare e complesso, dove sono mescolati in un insieme unico generi diversi, è in diretta consonanza con l’incipit della Bibbia. In esso si passa dal giallo alla Sherlock Holmes al racconto filosofico e teologico con riferimenti a Tommaso d’Aquino a Guglielmo di Ockham e ad Aristotele. Una sorta di giallo medievale, di ambientazione storica che ha per protagonisti un monaco e il suo  giovane allievo, Adso da Melk, costretti a investigare su una serie di morti misteriose in un monastero benedettino.

Per costruire questo romanzo ricchissimo di vari riferimenti storici e filosofici, in base ai quali si scontrano frontalmente due visioni dell’universo e dell’esistenza, l’autore ha disegnato centinaia di labirinti e di piante di abbazie, basandosi su molti disegni e sui luoghi che ha direttamente visitato in numerosi viaggi.

Nel 1986 Il nome della rosa, capolavoro letterario, ha avuto una trasposizione cinematografica (un successo planetario) con la regia di Jean-Jacques Annaud, con la scenografia di Dante Ferretti e la collaborazione del costumista Gabriella Pascucci e del direttore della fotografia Tonino Delli Colli.

Lo scrittore Umberto Eco, pur non essendo un vero e proprio giallista di professione, dimostra con chiarezza espositiva e competenza culturale che si può produrre un romanzo storico-filosofico di ambiente medievale, infarcito di dottrinarismo non illeggibile, anzi destinato ad un successo universale. La tecnica del romanzo giallo si presta alle soluzioni più colte, e insieme più vivaci, e alle molteplici interpretazioni del lettore. Infatti nelle Postille a Il nome della rosa Eco scrive: «Un narratore non deve fornire interpretazioni della propria opera, altrimenti non avrebbe scritto un romanzo, che è una macchina per generare interpretazioni».

Il nome della rosa, salutato dai critici come uno dei primi esempi di letteratura postmoderna in Italia, non va interpretato unicamente come un romanzo-saggio o un mero gioco intellettualistico, poiché nel racconto prevale un autentico piacere narrativo.

Il gusto del pastiche, che utilizza stili e linguaggi diversi, la capacità di attribuire ai romanzi nuove “aperture”, intese come interpretazioni, e il desiderio dell’erudizione enciclopedica sono i principali ingredienti di questo celeberrimo romanzo che si ritroveranno in tutta la successiva produzione letteraria di Umberto Eco.

 

 


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