Tra i tanti film di vario genere, buoni e meno buoni, ce ne sono di quelli necessari non solo per la qualità artistica ma anche per il cosiddetto messaggio. Tra questi l’incredibile CAFARNAO (Caos e miracoli) della regista e attrice libanese Nadin Labaki (protagonista del film), un film inarrivabile e terribilmente originale per la potenza della denuncia, il significato morale e umano; l’incentivo a perfezionare l’ “alfabetizzazione” circa la lettura dei drammi umani e sociali che oggi più che mai sconvolgono la scena mondiale. Insomma, per il progressivo rischiaramento della mente, per il kantiano imperativo categorico ossia al dovere morale,umano e sociale a essere “tutti tra sé confederati”. Straordinaria la sensibilità,intelligenza e doti registiche della Labaki che, davvero miracolosamente, ha diretto non solo il bambino adolescente,protagonista eccellente per espressività,intensità e verità ma anche e in maniera stupefacente il neonato-bambino di pochi mesi,poi di appena uno-due anni, che si muove davanti alla macchina da presa come un attore consumato, da rimanere senza parole! Tra i meriti indiscussi del film quello di aver spazzato via con un colpo di raspa tutto il dilagante ciarpame delle gomorreidi, napoletanità,camorristerie e,permettetemi, “savianesterie” di moda, strumentali alla commercialità obbligata magliane e canari compresi. Niente di tutto ciò trattandosi della rappresentazione di un mondo alla rovescia, di una sofferenza e un dolore epici,direi biblici, un mondo paragonabile, fatti i dovuti distinguo, a quello disegnato nelle poesie del Porta, al popolo vero dei suoi diseredati senza storia poiché esclusi dalla storia. La Labaki ci inchioda di fronte all’affresco impietoso, crudo e realisticamente crudele di un popolo costretto a vivere nell’imbuto di un inferno orribile, di un’umanità dimenticata da Dio e dagli uomini di cui il bambino è ,l’emblematico,tragico portavoce. Egli dice cose che,forse, solo, i vecchi o quanti sono scampati all’olocausto dicono,quanto meno pensano: che la “vita è una puttana”(sic), che lui ha denunciato i genitori “per averlo messo al mondo”, ai quali grida “di non fare più figli”, che quello (l’ennesimo) che la madre porta in grembo “nascerà per forza cattivo come lui”. Lui è in carcere, deve scontare cinque anni per avere accoltellato un ceffo al quale i genitori hanno venduto-dato in moglie la sorella di undici anni (messa in cinta) nonostante si fosse strenuamente e inutilmente opposto.La ragione che lo induce ad andarsene di casa,conoscerà una donna (libanese) con un neonato di cui dovrà prendersi cura allorché la madre sparirà per essere stata a sua volta arrestata perché in possesso di un permesso falso per emigrare. Il rapporto tra il bambino madre/padre e il neonato è stupefacente,una grande lezione di “ingegneria” genitoriale. Niente a che fare con i “bambini ci guardano”. gli “Sciuscià” di De Sica, quelli di Truffaut né con il Neorealismo, a confronto, favole rose. No, qui c’è il sangue amaro di una realtà durissima che grida vendetta contro quanti -e sono molti- hanno l’acqua al posto del sangue e la crusca al posto del cervello (la squallida rappresentazione politica circa la chiusura degli sbarchi e il balletto sul sequestro a bordo della Diciotti). Le sequenze cinematograficamente bellissime, d per sé sconcertanti per il degrado e l’abominio delle condizioni di vita del centro e dei suburbi della città,interni e esterni, bidonville spaventose etc. Un film tragico come una tragedia greca,diretto con maestria,passione e ideologia allo stato puro. Che gli insegnanti dovrebbero non già consigliare ma inserire nelle loro lezioni (e non solo questo) riflettendo che il cinema è come un orto prezioso e come tale va coltivato.Tra i pregi della regista quello di aver saputo distillare da una sterminata,scuorante disumanità il succo di una rara,meravigliosa umanità. L’urgenza di essere umani,troppo umani.(gmaul)


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