L’Intelligenza artificiale non esiste.

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L’intelligenza artificiale non esiste. Nessun senso salverà le macchine          di Fabio Ferrari

L’Intelligenza Artificiale è un soggetto che prenderà il controllo delle nostre vite, oppure è un oggetto al nostro servizio che dobbiamo imparare a usare nella maniera più corretta?  (Fabio Ferrari)

 A questo fondamentale quesito sul rapporto tra esseri umani e Intelligenza Artificiale Fabio Ferrari, l’autore del libro L’Intelligenza Artificiale non esiste (editore Il Sole 24 Ore), dichiara che la risposta giusta è la seconda, perché l’Intelligenza Artificiale, che ha un forte e concreto impatto sulla vita umana, sulle persone, sulle imprese e sulle comunità, non può esistere senza l’intelligenza creativa dell’uomo che la elabora.

In questo pamphlet l’autore, ingegnere fondatore di una azienda (Ammagamma) che lavora nel campo dell’Intelligenza Artificiale (AI), ha raccolto, in dieci capitoli, opinioni, osservazioni, scambio di idee, riflessioni e pensieri di filosofi, matematici, scienziati, ricercatori informatici, tecnologi innovatori, programmatori, direttori scientifici, manager, amministratori delegati e imprenditori.

Nell’introduzione Fabio Ferrari afferma che l’Intelligenza Artificiale, il cui sviluppo sta radicalmente cambiando la nostra capacità di interpretare e comprendere la realtà in cui gli esseri umani vivono, è «molte cose». Oltre a essere algoritmi, formule matematiche tradotte in sistema binario da ingegneri informatici, l’AI è una rivoluzione tecnologica, un nuovo strumento per la creazione in diversi settori, capace di essere una leva strategica per lo sviluppo del Paese, sotto ogni profilo. Pertanto è necessario affrontare questa rivoluzione, capirla meglio e regolarla.

Inoltre l’autore nel riferirsi, in maniera sintetica, al Manifesto della razionalità sensibile (2018) la cui frase ricorrente è «Il mondo è un’armonia di relazioni da custodire», sostiene che l’AI aiuta a comprendere la realtà e nello stesso tempo si chiede «che cosa occorre fare per guidare un’Intelligenza Artificiale in maniera intelligente?», «che cosa vuol dire responsabilità nel mondo digitale?», «chi controlla l’uso delle tecnologie e l’interpretazione dei dati?».

Conversando con l’amministratore delegato di Snam, Stefano Venier, sulla svolta epocale che sovverte il nostro modo di pensare e di vivere, l’autore mette in risalto l’importanza del mondo della human innovation, nella quale si pone la sfida dell’intelligenza artificiale. Di fronte alla fragilità degli algoritmi che non sono strumenti “neutri”, ma sistemi di comprensione della realtà, occorre un nuovo umanesimo e creare un contesto sociale in cui la complessità, presente nelle istituzioni, nelle imprese e nel mondo della ricerca scientifica, sia amministrabile da figure professionali, dotate di conoscenze e competenze, culture e sensibilità diverse, da quelle di business fino a quelle umanistiche e sociali.

Fabio Ferrari, inoltre, confrontandosi con Alfonso Dolce, amministratore delegato di Dolce&Gabbana, sostiene che l’innovazione nel mondo della moda, utilizzando la potente e trasformante tecnologia dell’AI, legata al genio, all’intuito, allo sforzo creativo per razionalizzare un’idea, un principio, una formula, un processo, ha bisogno di identità che non può essere delegata alla tecnologia e alla AI, ma ha senso soltanto se diventa uno strumento per umanizzare l’identità d’impresa, per prendere decisioni migliori e per potenziare la disponibilità del tempo e la qualità del risultato.

Proseguendo le sue conversazioni con Alberto Calcagno e Monica Poggio, amministratori delegati rispettivamente di Fastweb e Bayer Italia, l’autore mette in risalto che l’AI, uno dei pilastri su cui si sta costruendo lo sviluppo per raggiungere obiettivi più avanzati di sostenibilità sociale, può aiutare, nel mondo delle telecomunicazioni, ad essere più competitivi e liberare nuove risorse da destinare all’innovazione e alla crescita.                                                                            L’AI, come formidabile tecnologia foriera di profonde trasformazioni, può essere uno straordinario strumento per sostenere l’uomo e creare ordine nella complessità enormemente aumentata della società; come tecnologia è un mezzo, e non un fine, per migliorare la crescita di una azienda, di una amministrazione pubblica, di una comunità e per liberare opportunità per la creatività degli esseri umani.

Anche nel settore bancario l’AI, come sostiene la vicedirettrice generale della Banca d’Italia Alessandra Perrazzelli, sta trovando applicazioni e forme di collaborazione per lo sviluppo del sistema finanziario a vantaggio del sistema economico. Il buon uso dell’AI è prima di tutto, con l’alfabetizzazione tecnica e scientifica e la formazione delle persone, una questione di governance e di cultura.

L’AI, nell’applicarsi agli ambiti più delicati della vita, come la medicina, l’agricoltura che dà nutrimento, ha bisogno secondo le indicazioni di Sabina Leonelli, docente di filosofia e storia della scienza, di trasparenza e di utilizzare algoritmi affidabili che hanno bisogno di multidisciplinarità (esperti di bioinformatica, ingegneri informatici, biologi molecolari…) e di verifiche continue.

Lo scienziato Alberto Mantovani, immunologo, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas, auspica una maggiore collaborazione tra medicina e intelligenza artificiale, che nell’elaborare una considerevole mole di informazioni e di dati, ha reso nei percorsi di cura la ricerca biomedica più sicura e più personalizzata guadagnando velocità e precisione.

Anche la narrazione relativa all’AI, secondo l’esperta giornalista Barbara Carfagna, è cambiata. Non più racconti legati a robot umanoidi ritenuti pericolosi con armi autonome, ma approfondimenti e investimenti nell’educazione digitale della popolazione, in particolare delle giovani generazioni, per capire quanto e come l’AI, con i suoi aspetti positivi e negativi, interviene in tutti gli ambiti della vita umana.

Fabio Ferrari, conversando con Gianna Martinengo, fondatrice di Didael Kts, discute del rapporto tra AI e scuola e del progetto di avvicinare i ragazzi alla tecnologia dell’AI per sviluppare il pensiero critico e per risolvere problemi complessi. Un’educazione civica all’AI, potrà fornire ai cittadini più giovani gli strumenti per comprendere e gestire una realtà tecnologica completamente nuova.

Con una delle voci più ascoltate al mondo sul rapporto tra AI ed etica, padre Paolo Benanti (docente di etica alla Pontificia Università Gregoriana, esperto di innovazione ed etica delle tecnologie), l’autore sottolinea l’importanza dell’intelligenza artificiale intesa come capacità di surrogare alcune capacità dell’agire umano e orientarlo nel futuro attraverso scelte ponderate ed eticamente adeguate.

Nella Postfazione del libro il filosofo Luciano Floridi, partendo dall’intuizione del matematico inglese, Alan Turing, sostenitore del fatto che le persone avrebbero parlato delle macchine, applicando un linguaggio antropomorfico, afferma che il vocabolario umano ci aiuta a spiegare il rapporto complesso fra gli uomini e l’intelligenza artificiale.

L’AI si riferisce a macchine che fanno quello che devono fare senza intelligenza, e non sono in grado di apprendere e sono capaci, come agenti artificiali, di fare cose al posto degli esseri umani e di aiutare gli uomini a fare una vita più comoda. Per il filosofo italiano è necessario concentrarsi sull’uso che dell’AI fanno gli uomini, e non sull’AI in sé stessa,  e sugli impatti che ha l’intelligenza umana sugli esseri umani, senza perdere di vista le necessità e le conseguenze dell’agire umano.

Il libro, molto interessante per la chiarezza espositiva, la lucidità e la logica delle argomentazioni, si conclude con una lunga conversazione sull’intelligenza artificiale tra l’autore e Federico Faggin, tecnologo geniale, il padre del primo microprocessore al mondo, il creatore della teoria della coscienza e del libero arbitrio.

Nel dialogo i due interlocutori sostengono l’idea che alla base della realtà ci sono enti coscienti e creativi, con libero arbitrio, desiderosi di conoscere sé stessi e gli altri comunicando significati mediante simboli condivisibili. È la coscienza che permette di conoscere e di comprendere e senza di essa non si può conoscere nulla. La vera realtà è quella che noi conosciamo dentro di noi perché siamo coscienti interlocutori.

I due interlocutori si confrontano anche sulla AI e sul timore che possa essere, come arma potente, usata non tanto per costruire quanto per ingannare e distruggere, approfittando dell’abilità di imitare la realtà. L’AI, come tecnologia dotata di estrema potenza, è un amplificatore di ciò che siamo e, nonostante il potenziale distruttivo, può e deve essere utilizzata con responsabilità al servizio del bene comune.                                     

Gli uomini non sono macchine e possono, collaborando, coniugare la scienza con la spiritualità. L’AI mediante algoritmi deterministici possono agire su campi simbolici molto estesi, ma l’intelligenza naturale, umana basata sulla coscienza permette all’uomo di conoscere, comprendere e comunicare il significato che prova dentro di sé con libero arbitrio che è l’espressione più alta della dignità umana.

L’AI, che può con la matematica, l’algebra, la statistica e la teoria del calcolo e della probabilità elaborare, meglio dell’uomo, grandi quantità di simboli, è complementare con l’intelligenza naturale che manifesta sensazioni e sentimenti e che ha giudizio e cuore.

Per l’autore l’AI che soppianta l’uomo non esiste, ma conviverci impone di conoscerla, di capirne il funzionamento e i limiti, e comprenderne l’enorme contributo che può offrire alla vita degli esseri umani nelle emergenze sociali, nella cultura, nell’educazione scolastica, nella sanità e nella tutela del pianeta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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